Il
dottor Bovary (...c’est moi?)
“allora
il medico scappava, raccomandandogli
di
rispettare la dieta” (G. FLAUBERT, Madame Bovary)
Per
strenua volontà di mamma - esistevano già i figli viziati! - e
in mancanza di ogni talento e vocazione, Charles Bovary si ritrovò
medico. Non fu facile: attraversò le discipline mediche, “porte
di santuari gremiti di tenebre auguste”, “imparando
anticipatamente a memoria la risposta a qualsiasi domanda”, e
consumandosi nella fatica di un “cavallo all’argano”, che
gira e gira “nell’assoluta ignoranza di quanto fa”!..
L’oscura
e tenace coscienza di sé di certi mediocri (“Charles non aveva
ambizioni”), lo tiene alla larga dei guai, e cioè nella perenne
paura “di ammazzare i suoi
clienti”.
E’
dunque l’impagabile saggezza dell’ignavia che fa da Musa ed
evita i danni peggiori: col dottor Bovary si rischierà la
malattia ma almeno evitando la catastrofe da dottore spericolato!
Mai una ricetta che vada al di là del quasi niente che non fa mai
male: “pozioni calmanti, qualche emetico, un pediluvio, al
massimo un’applicazione di sanguisughe”... (però, a
differenza del giovane dottore degli Appunti
di Bulgakov, conservando un
“polso di ferro” nelle estrazioni dei denti, e nessuna pietà
nel salasso!).
Eccola,
finalmente, la routine!...
A
parte la setta già insignificante dei medici
pazzi per troppo démone (da Faust fino a Jekill),
esaurita anche la genìa
balzachiana dei martiri laici d’un Progresso che
nelle campagne prometteva soprattutto impressionanti programmi di
pulizia genetica con l’abolizione - già in un paio di
generazioni! - dei “cretini”, resta il medico da sciroppo e
lassativo, il don abbondio del clistere sistematico.
Non
leggiamo proprio nel Voyage
di Céline che la
coscienza è soprattutto una gran fifa? -
Da ciò il riconoscimento nostro, benché postumo, di Charles
Bovary come il primo medico minimalista! Fosse vissuto in tempi
spiritati di New Age e omeopatia, di anti.-antibiotici e di cure
Di Bella, avrebbe rischiato successi addirittura ideologici.
E
tanto più per noi ridotti negli appartamenti di carton gesso, il
suo ambulatorio è già un ritratto da piccolo idillio alla Mulino
Bianco: vittime degli endo-stetoscopî
d’acciaio, e dei
mille bip-bip delle Eco e delle Tac, quale senso di pace e di
tiepida rassegnazione pensarsi visitati in una casa di campagna
mentre “l’odore di soffritto arrivava dalla cucina”!...
...quando
le malattie e le cure erano sempre le stesse, e non era che uno
status-symbol, umile
come un gozzaniano pappagallo impagliato, la serie di tomi “sempre
intonsi” del Dizionario
di scienze mediche... comprata del resto tale e
quale di quinta o sesta mano, e giunta polverosa ma indenne da
un dottore di provincia all’altro!
Si
moriva a quarant’anni,
ma che semplicità! E che meravigliosa carenza di agonie!
In
questo Eden (appena secondo altri punti di vista del tutto uguale
a certi immedicabili orrori cechoviani) il disastro arrivò per
un’ambizione appena insufflata dal serpentesco farmacista, che indusse il nostro a provarsi
nel “nuovo metodo per la cura dei piedi storti”: non solo in
senso ortopedico, passo subito più lungo della gamba!
*°*
P.S.:
Quanto al non troppo strano caso di quella turbolenta
parentesi nella sua vita che fu la seconda moglie del dottor
Bovary, di quella donna perennemente equivocata - e già da sé
stessa! -, prendiamo una buona volta un libro alla lettera e
riconosciamo l’evidenza: Emma non fu che l’isteria di un breve
indscrivibile volo d’Icaro, sullo sfondo di quel cielo senza
nuvole che era l’anima di Charles, dottore in medicina in
mancanza di meglio... Qualcosa di puro come il sereno di quel
quadro di Bruegel
che mirabilmente cantò Auden
in Musée des Beaux Arts (1938)...
Ed
Emma che lo capiva (“Che ometto! Che ometto!”), finché non ne
poté più, rispediva sempre il marito dove minore era il danno:
“ai suoi malati”.