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I grandi dolori, anche quando tacciono, mai restano muti.
(René
Leriche, Chirurgie de la douleur)
All’udire
massacranti progetti Macbeth pare
l”uomo giusto per dire : “Donna che cosa c”è tra me e te?”.
E invece non è lui a pronunciare questa frase.
Il
sangue scozzese scorre –
pare Shakespeare non sia mai stato in Scozia come Rimbaud non aveva
mai visto il mare quando compose il Bateau
Ivre - e
tutta la vicenda s’imbratta
di violenti rossori e di
marci deliri. - Lady Macbeth
lava mani da sonnambula segnate da “damned
spots” in cui si strofinano incubi sanguinanti che grondano
rimorso e ambizioni forsennate, fissate da pugnali ben conficcati.
Il dottore, invocato come panacea allo smarrimento del bene,
non può praticare la trasfusione : “This
disease is beyond my practice…” e mischia parole di scienza a
parole di fede in una capriola di sacro e profano : “holily,
the divine, God – infected, physician, disorder, nature”
(atto V sc.i).
La
medicina della fine cinquecento (e oggi?) s”imbizzarrisce di
fronte ai crepacci della mente e agli strapiombi del cuore.
Il dottore visita
Lady Macbeth: ne
osserva il passo, ne
ausculta i “folli
sussurri”, ne annota i traballanti sintomi, chiede succinta
anamnesi, non pronuncia
diagnosi e mantiene la prognosi.
Non
è la prima sonnambula che il medico visita ma l’incedere,
ben dipinto nelle note linee
chiaroscurali impazzite di Füssli
come nel ritratto tutt’occhi
di John Singer Sargent di Ellen Terry, l’incedere
prolungato in braccia come onde elettromagnetiche a riflettere gli
ostacoli, insospettiscono il dottore:
“…more needs she the divine than the physician.
God, God forgive us all….”.
Nella
mente generosa e colta di Shakespeare la sfera divina avvolge molti
moti umani e astrali: scienza
e filosofia non hanno ancora
lanciato gli
anatemi illuministi, né
diagnosticato la morte di Dio.
E allora, il
genio tocca, sparisce, ricompare, crea, si nasconde e infine
trabocca.
Lady
Macbeth e l’incerta
sua malattia mortale saranno
fortunosamente poco strapazzate dall”infezione ottocentesca
dell’Opera.
Saranno invece
rivisitate dai nipotini Lumière: il prodigioso Orson
Welles,
regista ed attore in un film girato in 21 giorni con un
budget minimo, Akira
Kurosawa, con
un’incredibile
Lady Macbeth senza i riccioli arruffati di Medea, con capelli invece
lisci, all’orientale
(questo pare fosse il film
preferito da T.S. Eliot),
Roman Polanski
a torto snobbato perché il suo Macbeth
fu prodotto dalla rivista Playboy
e infine Michael Bogdanov,
il cui Macbeth degli anni novanta
non manca di occhiali
da sole, bandane e linguaggio a velocità globalizzata.
In
questa tragedia, più domande rimangono sospese
a sventolare nel cielo della letteratura . Una mi preme: Lady
Macbeth risveglia davvero tutta la misoginia che Shakespeare aveva
in corpo per i dolori procuratigli da Mary Fitton? O questo è solo
vile pettegolezzo?