“Mi
tirarono una fucilata all’angolo
di un bosco.”
(H.
de Balzac, Il medico di campagna)
“Se
un medico, anche senza convincere il suo paziente,
ma
con corretta padronanza della sua scienza, costringesse
un
bambino o un uomo o anche una donna a fare ciò che è
meglio
per loro, quale sarà il nome di questa violenza?”
(PLATONE,
Politico)
Il
medico di campagna
(1833),
romanzo tra i più politici di Balzac, ci stupisce soprattutto
perché col casto e sublime dottor Benassis ha al centro un
paradosso per noi tutti ormai inconcepibile: un dottore povero!
Benassis, sindaco e medico di un villaggio
tra Savoia e Delfinato,
viveva in “una camera nuda”, fedele a “una vita quasi
monastica”, nella
“più profonda noncuranza per tutto quello che non era una
essenziale necessità”. - Del
resto, quanto a onorario, addirittura peggio di Céline, e cioè
mai facendosi pagare un soldo da qualcuno!
Rendendo
spudoratamente romantica la faccenda, Balzac fa del
suo dottore
un
avo perfetto del Rick di Casablanca:: come lui reduce segreto d’un
disastro d’amore, il Nostro si suicida e si sublima - invece che
nella fuga in qualche colonia - nella bonapartesca
filantropia per una torva
comunità di contadini.
Napoleone gli
fa da angelo custode almeno quanto Ippocrate, perché Benassis non crede che per fare il bene del popolo
ne occorra
il consenso. Anzi: “i
proletari mi sembrano i minorenni d’una nazione, e debbono
restar sempre sotto tutela”. Giusto
quanto si leggeva - niente poco di meno che - in Platone:
Come
potrebbe difendersi un medico accusato da un pasticcere di fronte
a una giuria di bambini? (...) Se dicesse la verità: “Ragazzi,
tutto quello che ho fatto l’ho
fatto per la vostra salute”, non credi che quei giudici
alzerebbero grandi strilli? (Gorgia, 521e e 522a)
A
parte ideuzze politiche contestabili, è un fatto che il dottor
Benassis sappia quale ruvida pedagogia sia efficace coi
bifolchi: modi spicci e bruschi, frasi secche e inappellabili
come ordini a una truppa di riottosi: sarà lo stesso per
Bulgakov, per Cechov
e Céline: “Tutti i contadini sono figli
di San Tommaso, l’apostolo incredulo, vogliono fatti che
rincalzino le parole”; “meno
questa povera gente ha idee, più difficile diventa farle capire i
suoi veri interessi”.
E’
il 1833: ed è
già chiaro che, visto dalle campagne, il Secolo Decimonono sarà ancora a lungo un
intatto medioevo di cenciosi sul cui orizzonte qua e là
spunterà, ma lontanissimo, il pinnacolo d’acciaio di un rutilante
e fatuo Salone Universale.
Per i disastri
perenni delle campagne (e sarà così anche ai tempi di Céline
conferenziere per la lotta alla TBC!) era già chiaro che i
miracoli lenti dell’igiene,
della ricchezza e dell’istruzione
avrebbero ottenuto molto di più delle medicine: “Ciascuno dei
miei consigli era fonte di ricchezza, si fece a gara per
seguirli”; così la popolazione da settecento anime; con
Benassis arriva a duemila!
Né
la sua profilassi sociale si fermava davanti al dolore per
l’applicazione di un drastico piano eugenetico (“per poco non
sono stato lapidato”) quale la deportazione di tutti gli
idioti della valle in un luogo apposito dove rimanessero separati dagli altri:
Le
leggi non proibiscono il matrimonio di questi infelici... Il
cretinismo si sarebbe dunque diffuso di qui fino alla valle. Non
sarebbe stato un gran servigio da rendere al paese l’arrestare
quel contagio fisico e intellettuale?”
Portato
a successo questa bonifica, irrecuperabile apparve
alla fine solo una famiglia di ebrei: “gente che vive nel
sudiciume e muore nell’oro.”