Sono
        ancora turbato. La sensazione che ancora mi accompagna è quella del
        “mio cuore messo a nudo”, come diceva Baudelaire. Non
        conoscevo il libro e – ammetto – ho sempre un po’ snobbato
        Stendhal, suppongo per non aver amato né “La Certosa di Parma” né
        “Il Rosso e il Nero”. Qui invece, in questo caos di idee, di voci e
        pretese contrastanti, mi sono ritrovato in un labirinto “mio”.
        Anch’io, nell’amore, sono sempre stato sperso tra il cuore e la
        ragione, e so che un equilibrio è o falso o impossibile. Ho amato, tra
        le tante, soprattutto le pagine sulla “cristallizzazione”, ma anche
        quelle sulla bellezza.  
        
        Sarà
        anche per l’età, ma la cosiddetta “bellezza” da anni mi annoia.
        E’ proprio come dice Stendhal: qualcosa che dà il meglio di sé nei
        primi secondi: poi è quasi sempre solo uno scendere. Invece scorgo, e
        mi turba più di sempre, un qualcosa che non so chiamare che “intensità”:
        se ho capito bene, anche la donna per cui Stendhal ha scritto questo
        libro non era bella, o lo era meno di altre che ha amato, eppure anche
        di lei si conosceva qualcosa che si potrebbe chiamare “intensità”.
        Lo capisco: nelle sue pagine lo ammiro, nel suo fallimento mi riconosco.