Giona
si nasconde nel ventre della nave per sfuggire la voce di Dio. Aveva
preso il largo, in direzione opposta a Nivive, città empia che avrebbe
dovuto avvertire poiché l'ira del Signore si sarebbe abbattuta su
di essa e l'avrebbe punita.
Ma
Dio lo trova e scatena una furiosa tempesta.
Il
mare si agita ululando, con flutti paurosi che si innalzano fino al
cielo e rischia di spezzare lo scafo della nave. I marinai
impauriti invocavano
ciascuno il proprio dio
e gettano in mare
quanto hanno sulla nave
per alleggerirla. Non Giona, che, sceso
nel luogo
più riposto
della stiva, dorme
profondamente.
La tempesta non si placa così i marinai
chiedono alla sorte chi sia la causa di tale disastro. La sorte ricade
su Giona, che confessa la sua colpa e offre se stesso in sacrificio.
Lo gettano in mare.
Leggatt
è l'anti-Giona. Salva la nave durante una tempesta fissando una vela
di trinchetto. L'ultima vela. Ma uccide anche un uomo. Leggatt è la
colpa, la maledizione, il sacrificio. “E' stata la vela
di trinchetto a salvarvi”, dice il capitano al comandante della
Sephora che ricerca il suo primo ufficiale
per punirlo. “E' stata la mano di Dio”, risponde
quello.
Una
balena inghiotte Giona. Per tre giorni e tre notti vede solo le tenebre
intestine del grande animale che, infine, lo restituisce alla luce
e lo sputa su una spiaggia. Dio lo ha salvato, lo ha liberato.
Leggatt
si fa inghiottire da una nave sconosciuta. Un capitano gli offre aiuto.
Dopo
averlo nascosto nella nave infine è “calato in mare per
scontare la sua punizione: un uomo libero, un orgoglioso nuotatore”
che, solo, sceglie se stesso e “un
nuovo destino”.