"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

54.  Gusci d’uovo o di noce, valutazioni fantastiche

 


 

AMLETO - Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia.

(Atto I, sc. 5)

 

AMLETO - Oh Dio, potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e sentirmi re dello spazio infinito. 

(Atto II, sc. 2)

 

«…quest’angusta prigione, intendo dire l’universo…»

 (B. Pascal, Pensieri)

 

«Su uno sferico globo

Chi ne abbia copia, può rappresentare

Un’Europa, un’Africa ed un’Asia,

E presto far di quello ch’era nulla, Tutto…»

(J. Donne, Commiato: Del piangere – tr. Di G. Melchiori)

 

 

Prendiamola alla larga:

 

«…un lungo discorso andrebbe fatto in merito al manifestarsi del nichilismo prima della nascita del termine stesso. (...) All’inizio dell’età nuova una raggelante constatazione di Pascal dà la misura di quale profonda trasformazione la cosmologia materialistica abbia causato nella posizione metafisica dell’uomo nell’universo. «Inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano – annota Pascal – io mi spavento» (Pascal, Pensieri). Questo preoccupato lamento segnala che con la nuova cosmologia moderna egli non può più abitare e sentirsi a casa propria come nel cosmo antico e medievale. L’universo è ora percepito come estraneo al suo destino individuale: gli appare come una angusta cella in cui la sua anima si sente prigioniera oppure come una spaesante infinità che la inquieta. Di fronte all’eterno silenzio delle stelle e agli spazi infiniti che gli sono indifferenti, l’uomo sta solo con se stesso. E’ senza patria.»

(F. Volpi, Il nichilismo, Bari 1996)

 

 

Si potrebbe quindi concludere che «c’è del marcio in Danimarca»  e «c’è un certo disordine nei miei nervi« (A. Strindberg, Inferno) siano la stessa frase. Vale in ogni caso ricordarsi che spesso, quando gli uomini pensano troppo, è perché osservano poco.

 

 

Cos’è piccolo, cos’è grande? Cos’è buono e cos’è cattivo? Potrebbe essere che, in uno slancio di egotismo scambiato per mistica, si possa dire che per Dio un’intera ghirlanda di galassie non valga un sussulto del mio cuoricino ulcerato? Sarà, ma allora perché farle (le galassie)? Per il cuoricino? Basterebbe un ologramma.

 

Nella frase, magari anche molto pia e cristiana, che dice che «le montagne la cui vista inorridisce, nel cuore non sono che atomi» (J. P. de Caussade, L’abbandono alla Provvidenza Divina, 1741, Milano 2003) già faccia capolino il distruttore di foreste tropicali, perfette di fiumi pappagalli e anaconda, ma pur sempre meritevoli di distruzione in quanto imperdonabilmente prive di anima

 

Sul sono tutto e solo io, certo sarebbe da sapere a memoria l’estremo monologo, magnifico e molto pre-amletico, di Riccardo II che comincia: «E’ da qualche tempo che penso come possa mettere a paragone la prigione in cui vivo e il mondo» (Riccardo II, Atto V, sc. 5). Ci consolerebbe nei momenti mesti e farebbe fare bella figure almeno con le donne pensose. Qui il fine giustifichi i mezzi; ma senza crederci troppo, senza credere troppo insomma a noi stessi, e al nostro potere di scambiare i nostri minuscoli instabili giudizî per la realtà.

Su questo, era per esempio molto onesto Leopardi, che da sensista irridente sull’impossibilità del giudizio ha scritto nelle Operette pagine indimenticabili (dementia e alzheimer permettendo).

 

 

Amleto, si sa, a un certo punto millanta questa sua capacità – è un giovane contorsionista mentale - di star comodo in un guscio di noce e allo stesso tempo bestemmiare gli spazî infiniti per i quali non basterà certo il recente cannocchiale. Ora però c’è voluto il più truce di trucchi - l’apparizione di uno Spettro dalla invincibili fattezze paterne - per precipitarlo (oltre che nelle sue) nella catastrofe della Storia, nel suo Reale & Razionale, nella sua farsa: regicidî, complotti, spie, aspirazioni, vendette, troni. – Una volta apparso lo Spettro, anche se poi Amleto prova a restar sospeso tra credere o non credere, e fare o non fare (e prolungare un po’ la giovinezza), ormai la frittata storica è fatta: non ci saranno più gusci di noce – più persuasivi di ogni mondo vero – in cui stare al riparo dell’Eterna Guerra Mondiale. La Storia, come la mafia, raggiunge lo sventurato anche nel fondo dell’oceano: da lì lo scardina a piacimento.

 

 

Insomma: questa che Amleto può vivere in un guscio di noce («There is nothing either good or bad, but thinking makes it so» Atto II, sc. 2) è una delle tante commoventissime balle del principe tendente come sempre a platonizzare un po’ troppo; tant’è che, a proposito di gusci, lo commuove Fortebraccio dal sangue caldo che va con la sua soldataglia a farsi ammazzare «per un guscio d’uovo» («for an eggshell», Atto IV, sc. 5). Fuor di metafora, per un lembo di Polonia: terra, come si sa, sventurata e il cui punto di vista, su chi sia il guscio di chi, sarebbe interessante.

Intanto è un fatto che Amleto non trovi un guscio né di noce né d’uovo, né virtuale né reale, che lo contenga se non come un letto di Procuste.

 

 

A sostegno della nostra cattiveria, diciamo che c’è proprio in Shakespeare chi saprebbe molto praticamente rispondere ad Amleto su questa faccenda del pensiero che decreta l’ampiezza dei gusci di noce e l’angustia delle libere galassie, ed è il forterbraccesco Bolingbroke quando chiede: «Chi riesce a tenere il fuoco in mano volgendo la mente al Caucaso gelato? O calmare l’acuto stimolo della fame col solo pensiero di un banchetto?» (Riccardo II, Atto III, sc. 3).

 Siccome è un aristocratico, butta lì il Caucaso gelato; mentre magari, direbbe al principe il becchino,  quanto comoda e larga resterebbe la noce infinita se appena appena arriva un po’ di male ai denti del giudizio? E’ dunque vero che «nous appellons valeur en les choses, non ce qu’elles apportent, mais ce que nous y apportons» (Montaigne, Essays), il che però. E chi più di Montaigne concorderebbe?, dipende da un libero atto di volontà solo in assenza di mal di denti. Un’osservazione del genere l’avevamo letta in un articolo di Enzensberger sui giovani che partivano per la mitica India dando per scontato che nessuna dissenteria avrebbe reso inevitabile la nostalgia della mutua e delle farmacie di turno.

 

 

Nel mondo che, dalla disperazione per il dubbio di tutto, sta per far scaturire il fondamento egocentrico del cogito di Cartesio che tutto riduce «a esperienze tra l’uomo e se stesso» (H. Arendt, Vita activa, Milano 2006), in Shakespeare leggi che sarà anche meravigliosa codesta - del resto già un po’ stoica – autosufficienza celeste della mente, come la capacità dell’immaginazione di ingrandire «le piccole cose sino a riempircene l’anima con una valutazione fantastica» (B. Pascal, Pensieri), «ma il pensiero è schiavo della vita e la vita è lo zimbello del tempo, e il tempo, che abbraccia nella sua rassegna tutto il mondo, deve anch’esso aver fine» (Enrico IV, Parte I, atto V, 4).  E, come giustamente è stato notato, in Shakespeare non c’è personaggio che non abbia ragione nei suoi cinque minuti di gloria.


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