"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

55.  Quinto atto

 


AMLETO: Il mio destino urla.

(Atto I, sc. 4)

 

“…al Fato si è sostituito il Caso.”

(G. Melchiori, Shakespeare, Laterza, 2005)

 

«Un destino inventato non è un destino…»

(C. Schmitt, Amleto o Ecuba, Bologna 1983)

 

«Ma l’uomo tragico è colui per cui l’esistenza si è improvvisamente trasformata…»

(M. Blanchot, L’infinito intrattenimento, Torino 1977)

 

«Se nel mondo tornassimo i medesimi uomini, come tornano i medesimi casi, non passerebbono mai cento anni, che noi non ci trovassimo un’altra volta insieme, a fare le medesime cose, che hora.»

(N. Machiavelli, Clizia)

 

 

Schiacciato – come il passero che cade! – dalla «speciale provvidenza» che tutto determina nella sua cospirazione ineluttabile e grossolana, Amleto prima soffre e poi accetta il tempo ridotto a fato senza uscite.

Avere un destino, essere il centro del vortice matematico delle sorti precipitanti, dà tutt’altro che blasone e privilegî, piuttosto uno sberleffo: potremmo infatti dire che Amleto è un eroe? «Il suo dramma è stato di dover essere un eroe cercando al tempo stesso di sottrarsi al destino» (G. de Santillana – H. von Dechend, Il mulino di Amleto, Milano 2003).

Una breve linea isterica di omicidî spiccî (Polonio) e perfidi (Rosencrantz e Guildenstern), di lutti inguaribili (il padre, Ofelia), e un lacerarsi senza scampo per dialettiche funamboliche e irreparabili - per ridursi alla fine alla demenziale pochade delle spade scambiate e della coppa di vino: quiproquò da teatro di rivista però atroci veramente. Amleto dice di sì a tutto tranne che all’oblio. E non è poi tanto facile capire perché se non per l’egotismo innato nel principe che demanda a Orazio il compito del racconto. Orazio, molto shakesperianamente, annuncia subito di vedere molto poco senso nella trama subita, e infatti riassume: «atti carnali, sanguinosi e snaturati, / giudizi accidentali, uccisioni causali, / morti inflitte dall’inganno o senza causa alcuna»  («for no cause», Atto V, sc. 2). Il racconto sarà descrizione del non spiegabile, del ciò che accade perché accade. Niente fato, per Orazio. Essendo il resto «silenzio», strano che non sia piaciuto al Wittgenstein capace di render celebre un’identica chiusa.


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