AMLETO: Il mio
destino urla.
(Atto I, sc. 4)
“…al Fato si è
sostituito il Caso.”
(G. Melchiori, Shakespeare, Laterza, 2005)
«Un destino inventato non è un destino…»
(C. Schmitt,
Amleto o Ecuba, Bologna 1983)
«Ma l’uomo
tragico è colui per cui l’esistenza si è improvvisamente
trasformata…»
(M. Blanchot,
L’infinito intrattenimento, Torino 1977)
«Se nel mondo
tornassimo i medesimi uomini, come tornano i medesimi casi, non
passerebbono mai cento anni, che noi non ci trovassimo un’altra volta
insieme, a fare le medesime cose, che hora.»
(N. Machiavelli,
Clizia)
Schiacciato – come il
passero che cade! – dalla
«speciale provvidenza» che tutto determina nella sua cospirazione
ineluttabile e grossolana, Amleto prima soffre e poi accetta il tempo
ridotto a fato senza uscite.
Avere un destino, essere il centro
del vortice matematico delle sorti precipitanti, dà tutt’altro che
blasone e privilegî, piuttosto uno sberleffo: potremmo infatti dire
che Amleto è un eroe? «Il suo dramma è stato di dover essere un
eroe cercando al tempo stesso di sottrarsi al destino» (G. de
Santillana – H. von Dechend, Il mulino di Amleto, Milano 2003).
Una breve linea isterica di omicidî
spiccî (Polonio) e perfidi (Rosencrantz e
Guildenstern), di lutti inguaribili (il padre, Ofelia), e un
lacerarsi senza scampo per dialettiche funamboliche e irreparabili -
per ridursi alla fine alla demenziale pochade delle spade
scambiate e della coppa di vino: quiproquò da teatro di rivista però
atroci veramente. Amleto dice di sì a tutto tranne che all’oblio. E
non è poi tanto facile capire perché se non per l’egotismo innato nel
principe che demanda a Orazio il compito del racconto. Orazio, molto
shakesperianamente, annuncia subito di vedere molto poco senso nella
trama subita, e infatti riassume: «atti carnali, sanguinosi e
snaturati, / giudizi accidentali, uccisioni causali, / morti inflitte
dall’inganno o senza causa alcuna» («for no cause», Atto V, sc. 2).
Il racconto sarà descrizione del non spiegabile, del ciò che accade
perché accade. Niente fato, per Orazio. Essendo il resto
«silenzio», strano che non sia piaciuto al
Wittgenstein capace di
render celebre un’identica chiusa.