"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13  settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 53. Mancare fratelli

 

 

 

 


 

AMLETO (a Laerte nella tomba di Ofelia) -

…saprò farneticare quanto te.

(Atto V, sc. 1)

 

AMLETO - Ma io sono assai dolente, buon Orazio, di essermi lasciato andare con Laerte; perché, dall’immagine della mia causa, io vedo il ritratto della sua…

(Atto V, sc. 1)

 

AMLETO - …ed ho ferito mio fratello.

(Atto V, sc 2)

 

 

 

Come una paperetta nel caos angoscioso d’imprinting falliti, il povero Amleto ama specchiarsi mimeticamente con gli strategici coetanei che entrano anche solo nel suo orizzonte più largo (cfr. R. Girard, Shakespeare, il teatro dell’invidia, Milano 1998). Vede quindi sia in Fortebraccio che in Laerte due gemelli mancati. In particolare Laerte, figlio di Polonio e fratello di Ofelia – un vagheggiato cognato! -, gli appare gemello nel suo stesso desiderio di vendetta. Essendo Amleto un cuor gentile, non lo condiziona il fatto che la vittima del sacro incontestabile gesto debba essere lui stesso.

 

Ma niente di più di questi specchî sono parti mentali e solitari: Laerte di suo non si specchia in Amleto. Lo odia con semplicità e senza fantasia. Laerte poi ha una mamma pura, e ci tiene: se l’onta dell’omicidio di Amleto restasse impunita, «sulla sua fronte casta e immacolata» si stamperebbe un insopportabile marchio di puttana (Atto IV, sc. 5): che è quanto francamente pensa Amleto di sua madre. Amleto dà la colpa della lussuria materna a Claudio («ha fatto puttana mia madre», Atto V, sc. 2), però Laerte ha una sorella che, oscenamente impazzendo, mette in piazza uno scandalo su cui semplicemente non c’è tempo di ricamare – siamo alla fine del quarto atto! – ma che facilmente fa pensare che Amleto l’ha avuta senza sposarla, facendo di lei – come padre e fratello paventavano all’inizio - quello che Claudio avrebbe fatto di Gertrude.

 

 

 

Aggiungi il fatto che Laerte, nonostante l’università di Parigi, resta un barbaro non più che ripulito, e pronto con niente a risvegliare il DNA degli Avi quando si tratta di vendetta.  Interessante che due tipi così diversi piacessero tanto al popolo di Danimarca da volerli entrambi e al contempo re: forse perché si somigliavano esteticamente?

Torniamo ai fatti. Saputo il delitto, Laerte accorre in Danimarca per ammazzare Amleto subito, qualunque cosa per questo potesse riservagli Iddio. Quando appare al cospetto del Re, dice subito una frase da Amleto primordiale (Saxo Grammaticus e Belleforest, per intenderci, e non Shakespeare): «O tu, infame re, ridammi mio padre!» (Atto IV, sc. 5). Quando, con sangue freddo davvero regale, Claudio gli spiega l’accaduto, Laerte promette l’essenziale senza fronzoli barocchi, o, se si preferisce, moderni: «Sono deciso in questo, a non curarmi / né dell’uno né dell’altro mondo di là, / accada quel che accada. Basta che abbia / vendetta per mio padre.», Atto IV, sc. 5). Così, mentre Laerte per il padre andrebbe all’inferno, Amleto s’era interrogato senza mai vera soluzione sulla vera natura del fantasma del padre, forse addirittura un emissario di Satana venuto a tentarlo e perderlo; e se Amleto non uccide Claudio perché quando potrebbe farlo sta pregando, Laerte è subito pronto a tagliare ad Amleto «la gola in chiesa» (Atto IV, sc. 7).

Proprio in questa scena si fa chiara la differenza essenziale tra i due: Amleto è una testa e il solerte Laerte un braccio. Quando Claudio lo persuade a complottare con lui, è Laerte stesso a dirlo: che del portentoso piano del re (veleni, duelli truccati e coppe di vino!) gli sia concesso di essere lo «strumento» («That I might be the organ.»)! Che a pensarci, però, potrebbe essere un’altra frase di Amleto al cospetto dello Spettro, solo che poi fa di testa sua.

 

 

«Qui ci troviamo di fronte e una violenta antitesi (nello stile di Victor Hugo): Laerte ha ereditato il movente patetico di Amleto: vendicare la morte del padre. C’è così, nel trattamento, una fuga o un canone, ché Laerte prende e tiene il registro di Amleto, ma da basso (Amleto era tenore).»

(A.  Strindberg, Amleto e Faust, Milano 1988)

 

  

(Su questo, vedi anche simmetrie)


 

torna su

 

 

torna a