“Nel rialzarsi,
Amleto si accorge di aver gravemente danneggiato un formicaio. “Ormai –
pensa – e perchè il Caso non mi resti obbligato…” e con un colpo di
tallone finisce il suddetto formicaio.”
(Jules Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale,
tr. di E. Flaiano, Milano 1987)
Il primo che si nomina, come nella
canzoncina branduarda che sanno tutti i bambini, è il
topo
(«Non s’è mosso un topo», Atto
I, sc. 1): sta del resto per
apparire uno Spettro, il cui tempo, del resto, è concluso prima dal «il
gallo, la tromba del mattino» (Atto I, sc. 1; ma anche Atto
I, sc. 2), poi dalla «lucciola [che] mostra che è
prossimo il mattino” (Atto I, sc. 5).
Dice lo Spettro (la «vecchia talpa»,
Atto I, sc. 5) che lo stesso serpente che lo avrebbe ucciso
nel suo giardino è una versione da Minculpop (Atto I, sc. 5), ma il
veleno che il fratello gli ha fatto colare nell’orecchio
potrebbe essere - credibile congettura testuale - «sugo del
maledetto tasso» (Atto I, sc. 5).
I tantissimi altri animali sono quasi
tutti animali metaforici, per similitudini o per i brevi apologhi del
principe sulla fine dei re quando diventano cadaveri: i capelli di Amleto,
se sapesse che luogo di tortura è il Purgatorio, si drizzerebbero «come
aculei di istrice» (Atto I, sc. 5).
Predominano però gli uccelli: le
profferte d’amore di Amleto a Ofelia sono «laccioli da acchiappar merli»
(Polonio a Ofelia, Atto I, sc. 3); sempre a Amleto dichiara una
follia metereopatica: «quando il vento è dal sud, io conosco un falco
da un airone» (Atto II, sc. 2). Il birdwatching del principe
deve avere sul nostro eroe effetti mimetici: si rimprovera alla fine della
stessa scena, di avere un «fegato di colomba» incapace com’è di far
ingrassare con le trippe del porco zio « tutti gli avvoltoi
dell’aria».
Inevitabile in tanta zoologia
l’ircocervo, che arriva quando Amleto commenta impaziente il procedere
della sua Trappola per Topi con un minacciosissimo «il
gracchiante corvo muggisce vendetta»
(Atto III; sc.2). Qui per fortuna l’indispensabile Serpieri
spiega che si tratta probabilmente della compressione parodica di due
versi dell’anonima True Tragedy of Richard III in cui prima
il corvo gracchia e poi «interi greggi vengono a muggir vendetta» (A.
Serpieri, nota a Amleto, Venezia 2003).
Più in alto di tutti vola però il
passero, citato per giustificare un, finalmente attivo, fatalismo:
«noi sfidiamo gli auspici; v’è una speciale provvidenza nella caduta d’un
passero. Se è ora, non è a venire; se non è a venire è ora; l’esser
pronti è tutto…» ecc. (Atto V, sc. 2).