«toccherebbe alle
stelle esplodere in risate.
Ma l’universo è un
luogo spento.»
(B. Pasternak,
Definizione della poesia, in Mia sorella la vita, Milano 1996)
Sta per iniziare il
dramma di Gonzago che dovrebbe smascherare il re fratricida. Al padre-zio
amante della crapula che gli chiede come se la passa, il principe risponde
con abissale polisemia: «Eccellentemente, in fede, a piatti di camaleonte.
Mi nutro d’aria, infarcita di promesse. Non potete ingrassare i capponi
così» (Atto III, sc. 2). – La domanda del Re,
How fares,
intesa normalmente come un Come
va?, alla lettera significava qualcosa come
Come va il vostro pranzo?
Amleto, come
Totò, letteralizza le metafore,
e risponde che lui, come i camaleonti, vive d’aria, questo infatti si
credeva dei policromi animali, aggiungi però che aria si pronuncia come
eredità (air/heir): Amleto è un camaleonte che si nutre di eredità farcita
di promesse (il che rimanda alla promessa, nel primo atto, che lo zio
fratricida gli fa di lasciargli, a tempo indebito, il regno).
Così, anche se è vero che quello del
clown è un «ruolo fisso in ogni compagnia teatrale elisabettiana e
per il quale l’autore doveva a tutti i costi creare una parte (per esempio
il becchino in Hamlet)» (G. Melchiori, Shakespeare,
Roma-Bari, 2005), è ancora più vero che – caso unico – qui il ruolo del
buffone è preso dal principe stesso.
A parte
il becchino filosofico, sono
quindi di Amleto i giochi di parole, i doppi sensi, i paradossi, le
sconcezze… Amleto si dà del resto del buffone da solo quando, in attesa
che gli attori inizino lo spettacolo, dice a Ofelia di essere il suo «only
jig-maker» (Atto III, sc. 2): alla lettera, «l’unico vostro autore
di gighe».