«Il lungometraggio (1973),
sulla falsariga della versione teatrale laforgueana, è
caratterizzato dall’uso pirotecnico della macchina da presa, dalla
rapidità del montaggio, dalla sistematicità della frammentazione
(del testo, della dizione, delle sequenze, delle musiche, dei
suoni), dal relativismo “isterico” del punto di vista, dall’indugio
programmatico sui primi piani (anche di intimità femminili). E’ un
flusso continuo di immagini e colori che, a tratti, si sfaldano
nell’accecante luminosità del bianco per ricomporsi nelle tonalità
dei volti, dei costumi, degli accessori scenici. Macabra e
sorprendente, all’inizio dello spettacolo, la visualizzazione
dell’amplesso regale e del fratricidio cui fa eco l’ossessiva
richiesta di vendetta; suggestivo e parodistico il monologo con il
teschio di Yorick tra le croci bianche di un cimitero lambiccato
dalle onde marine; grottesco l’annegamento di Ofelia: una foto
galleggiante sull’acqua. Un film fortemente innovativo nell’uso del
mezzo cinematografico che Bene adatta in modo originale alle sue
esperienze artistiche.»
(G. Bartalotta, Carmelo Bene e
Shakespeare, Roma 2000)