«A volte accade a lui di restare
invischiato in un sentimento contorto, che non sa esprimere
bene, ma a cui non rinuncia; vi si impegna per qualche tempo, e
se continua a opporgli resistenza, lo esprime con le parole che
gli vengono in mente, lasciando che a sbrogliarlo siano coloro
che hanno più tempo da dedicargli.»
(Johnson on Shakespeare, a cura di A. Sherbo, 1968)
«Laddove
Johnson trovava solo confusione tendiamo a scoprire significati
profondi.»
(F.
Kermode, Il linguaggio di Shakespeare, Milano 2000)
«Rimane molto da esplorare
nelle relazioni interne fra Milton
e Shakespeare, ma è evidente che l’attacco calcolato nella breve
prefazione di Milton
a
Samson Agostines, dove afferma che le tragedie
degli autori antichi, di Eschilo,
Sofocle ed
Euripide, «rimangono tuttora
senza rivali». La forza e le implicazioni di quel verdetto,
pronunciato sessantacinque anni dopo
Re Lear, non va sottovalutata. Esso esprime un
disaccordo fondamentale.
Samuel Johnson
rimane il maggiore curatore-critico di Shakespeare grazie alla
sua ragionevolezza erudita e alla sua fiducia attenta nel testo,
che controbilanciavano ampiamente i suoi pregiudizi moralistici.
Per lui, Shakespeare era il primus inter pares fra gli
scrittori inglesi, ma un uomo normale, fallibile e disuguale,
che forse non capiva chiaramente il vero orientamento del
proprio genio (è di Johnson
la celebre affermazione secondo la quale la commedia, e non
tanto la tragedia, era congeniale a Shakespeare).
Johnson pensava che nei
testi teatrali ci fosse molto da biasimare e da emendare.
Secondo il suo giudizio, il canone – che egli stesso curò –
conteneva passi chiaramente mal riusciti. Il gusto di
Shakespeare era insicuro, non soltanto per quanto riguarda la
goliardia e i giochi di parole, ma nell’uso della retorica,
nella disposizione degli episodi drammatici e dei dénouements
poetico-filosofici: vedi la sua allergia al quinto atto di
Re Lear. Nel teatro
shakespeariano, sempre secondo lui, vi erano spesso esposizioni
laboriose, ripetizioni inutili e iperboli compiaciute.
L’edizione annotata di Shakespeare curata da
Pope (oggi ingiustamente
trascurata) mostra lo stesso tranquillo equilibrio
nell’ammirazione. Il traduttore di
Omero (e l’Omero
di Pope, dopo il
Paradise Lost
di Milton, rimane la sola
epopea importante in inglese) era in grado di valutare la
grandezza dei contrasti in Shakespeare. Secondo
Pope, c’erano nella sua
opera molti passi ispirati ma molti altri scritti male e
inutili: per questo motivo segnalava all’attenzione del lettore
i passi migliori.»
(G.
Steiner, Una lettura contro Shakespeare, in Nessuna
passione spenta, Milano 1996)