"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11, settembre2005                                        

 

             n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

3. Samuel Johnson (Milton e Pope)

 

 


 

 

 

«A volte accade a lui di restare invischiato in un sentimento contorto, che non sa esprimere bene, ma a cui non rinuncia; vi si impegna per qualche tempo, e se continua a opporgli resistenza, lo esprime con le parole che gli vengono in mente, lasciando che a sbrogliarlo siano coloro che hanno più tempo da dedicargli.»

(Johnson on Shakespeare, a cura di A. Sherbo, 1968)

 

«Laddove Johnson trovava solo confusione tendiamo a scoprire significati profondi.»

(F. Kermode, Il linguaggio di Shakespeare, Milano 2000)

 

«Rimane molto da esplorare nelle relazioni interne fra Milton e Shakespeare, ma è evidente che l’attacco calcolato nella breve prefazione di Milton a Samson Agostines, dove afferma che le tragedie degli autori antichi, di Eschilo, Sofocle ed Euripide, «rimangono tuttora senza rivali». La forza e le implicazioni di quel verdetto, pronunciato sessantacinque anni dopo Re Lear, non va sottovalutata. Esso esprime un disaccordo fondamentale.

Samuel Johnson rimane il maggiore curatore-critico di Shakespeare grazie alla sua ragionevolezza erudita e alla sua fiducia attenta nel testo, che controbilanciavano ampiamente i suoi pregiudizi moralistici. Per lui, Shakespeare era il primus inter pares fra gli scrittori inglesi, ma un uomo normale, fallibile e disuguale, che forse non capiva chiaramente il vero orientamento del proprio genio (è di Johnson la celebre affermazione secondo la quale la commedia, e non tanto la tragedia, era congeniale a Shakespeare). Johnson pensava che nei testi teatrali ci fosse molto da biasimare e da emendare. Secondo il suo giudizio, il canone – che egli stesso curò – conteneva passi chiaramente mal riusciti. Il gusto di Shakespeare era insicuro, non soltanto per quanto riguarda la goliardia e i giochi di parole, ma nell’uso della retorica, nella disposizione degli episodi drammatici e dei dénouements poetico-filosofici: vedi la sua allergia al quinto atto di Re Lear. Nel teatro shakespeariano, sempre secondo lui, vi erano spesso esposizioni laboriose, ripetizioni inutili e iperboli compiaciute. L’edizione annotata di Shakespeare curata da Pope (oggi ingiustamente trascurata) mostra lo stesso tranquillo equilibrio nell’ammirazione. Il traduttore di Omero (e l’Omero di Pope, dopo il Paradise Lost di Milton, rimane la sola epopea importante in inglese) era in grado di valutare la grandezza dei contrasti in Shakespeare. Secondo Pope, c’erano nella sua opera molti passi ispirati ma molti altri scritti male e inutili: per questo motivo segnalava all’attenzione del lettore i passi migliori.»

 

(G. Steiner, Una lettura contro Shakespeare, in Nessuna passione spenta, Milano 1996)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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