"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 7 maggio 2004

 

"Fondamenta degli Incurabili" di Iosif Brodsky


 

 


14.  Io? Niente 

 

 

 Perché i giorni per noi

Sono nulla. Un vuoto

Zero, nulla. Non puoi

Appuntarteli al muro e agli occhi

Renderli commestibili: sul bianco sfondo

Non possedendo corpo

Sono invisibili.

(da “Farfalla”, Poesie)

 

C’è un capitolo di Fondamenta, il 22, che è da solo mille cose: è il più lungo, sta al centro del libro come il suo aleph ombroso e sapienziale, ed è il solo interno veneziano

 

Un palazzo che è un Usher da patriziato in rovina: “soglia di un viscido e livido infinito”, stanze vuote forse disposte lungo una spirale, abitate da una magalda irresistibile: “Ogni stanza ti faceva scomparire un poco, sempre di più, ti avvicinava di un altro passo alla non-esistenza”; gli stessi tendaggi lisi mostravano un “dissiparsi retrogrado, verso un tempo remoto”.

Il labirinto dipanava stazioni verso un nulla fatto di specchi, specchi secolari, fermi “a non riflettere altro che la parete di fronte”, ormai “riluttanti, per avarizia o per impotenza” a restituire altro: tanto che, “quando ci provavano, le tue sembianze tornavano indietro incomplete. (…) Di stanza in stanza, a mano a mano che avanzavamo in quell’infilata, mi vedevo sempre meno, entro quelle cornici, vedevo sempre meno me stesso e sempre più il buio. Sottrazione progressiva, dicevo tra me; come andrà a finire?”

 

Finisce in “un nulla nero come la pece. Un nulla fondo e invitante”. Qui sembra uno di quei Bacon dove in una grande stanza semivuota, resta a fornicarsi sul grande letto deserto il fantasma cinetico d’un coito omosessuale e cioè sterile. E il letto, per lultimo specchio, non esisteva, “come non esistevo io”.

 

Il buio capitolo 22 è l'Yin, il buco nero a cui corrisponde, Yang arioso di chiare luci invernali, il Bigbang del resto di Fondamenta, il fuori numinoso di Venezia. Tutta Venezia è educazione a nirvaniche abolizioni di sé: “Non c’è miglior fondale per un’estasi, per una passione che debba sfumare in dissolvenza; nessun egoista, abbia ragione o torto, può fare il divo per molto tempo in mezzo a questo servizio di porcellana posata su un’acqua di cristallo, perché il fondale gli ruba la scena”.

 


 

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