“Voi dietro le spalle
avete un sistema enorme, invece dietro di me c’è mezza stanza, la mia
macchina per scrivere e null’altro”. Dopodiché la prevista antologia di
Brodskij fu annullata.” (S.
VOLKOV, San Pietroburgo).
“Questo
gioco continuò, fino al maggio del 1972,
quando Brodskij fu chiamato al reparto visti della polizia locale e gli fu
detto di partire immediatamente per l’Occidente.
“Quando
Brodskij domandò: “E se rifiuto?”,
il colonnello della polizia rispose con una minaccia esplicita: “Allora,
Brodskij, in un futuro davvero prossimo per lei verranno tempi assai
caldi”.
Per
restare, Brodskij fece appello direttamente a Leonid Breznev: “Tutto il male
che mi è toccato in sorte è stato più che compensato dal bene, e non mi
sono mai sentito danneggiato dalla patria. Non mi sento così neppure ora.
Poiché, smettendo di essere cittadino sovietico, non cesserò di essere un
poeta russo. So che ritornerò: i poeti tornano sempre: in carne e ossa o
sulla carta. Voglio credere che avverrà nell’una e nell’altra forma.”
Naturalmente,
la lettera rimase senza risposta. La perdita del suo Paese fu una
catastrofe che Anna Achmatova aveva saputo riassumere in due righe: “E'
generalmente noto che chiunque sia andato via dalla Russia, abbia portato
con sé il suo ultimo giorno” .
Brodskij
arrivò
a Vienna il 4 giugno. Aveva con sé
un piccolo volume di poesie di John
Donne
della Modern Library, un paio di bottiglie di liquore, e una macchina da
scrivere Royal Underwood “che
all’aereoporto smontarono fino all’ultimo bullone – era il loro modo
di dirmi addio” (Intervista).
Subito, con una Volkswagen presa in
affitto e assieme con l'editore Carl Poffer, si mise a cercare Auden:
i due sapevano che stava a Kirchstetten, ma non in quale delle tre.
“Le
persone della mia generazione non sono minacciate
da
un triste dover tornare - non sapremmo dove...”
(A.
ACHMATOVA, La casa della Suchardina)