«Signore, non 
          v’appisolate: non state attento alla commedia.» 
          
          
          (La bisbetica 
          domata, Atto I, sc. 1)
          
          
           
          
          
          «Ti prego, 
          recita la battuta come te l’ho detta…»
          
          
           (Amleto, 
          Atto III, sc. 2)
          
          
          
           
          
          Dato per certo che «tutto il mondo è 
          un teatro e tutti gli uomini e le donne non son che attori» dalle 
          molteplici parti (A piacer vostro, Atto II, sc. 7), è 
          vero anche che stare al mondo come se si fosse seduti a teatro è in 
          Shakespeare figura di incapacità e impotenza, di una terribile 
          condizione di catatonia («come se fossero a teatro, guardano a bocca 
          aperta», Re Giovanni, Atto II, sc. 1)! Tanto più se si 
          fosse in battaglia, e abulici si contemplasse il nemico che infuria 
          «come una tragedia recitata per spasso da simulanti attori» (Enrico 
          VI, III p., II, 3).
          Ora proprio a questo Amleto 
          costringe la mamy e il patrigno: a star attoniti e bloccati come 
          l’Alex del secondo tempo di Arancia Meccanica ad assistere al 
          teatro-trappola-per-topi che mette in scena il crimine: tutta la sua 
          cospirazione per  questo specchiarsi senza catarsi.
          
           
          
          Alla resa dei conti, dunque, è 
          perfido e politico «lo specchio» 
          che secondo Amleto, aristotelico teorico di estetica, gli attori 
          devono offrire della Natura. Leggendo il passo celebre delle sue 
          raccomandazioni, è chiaro che essi devono essere professionisti della 
          grazia, da intendere all’altezza delle definizioni inarrivabili che ne 
          dà 
          Castiglione nel 
          Libro del Cortegiano: «un temperanza che dia alla passione 
          morbidezza», perché ogni cosa «strafatta è contraria allo scopo 
          dell’arte drammatica» il cui fine «è di reggere, per così dire, lo 
          specchio della natura» (III Atto sc. 2). Che poi si predichi 
          bene e si razzoli male è difetto umano e quindi anche suo: proprio 
          come tanti attori, Amleto non è nella vita così misurato, naturale ed 
          elegante come vorrebbe fosse la recitazione –lui sì «fuori sesto», 
          esagera, urla, sbraita, e imponendo il suo oltremisura agli altri 
          imbarazza nemici e amici.
          
           
          
          Ma nell’arte Less 
          is more. Tutto sia 
          recitato con voci e gesti pulitissimi, stando dentro i limiti accurati 
          del testo, imponendo la briglia al gigionismo dei buffoni perché non 
          rubino «l’attenzione a qualche battuta essenziale del dramma» (Ibid.)… 
          - Un dubbio: sta Amleto allargandosi al punto da abbozzare 
          pericolosamente un tedioso teatro di regia, o come Goldoni o 
          Billy Wilder sta solo difendendo la macchina testuale dalle 
          sbracate licenze degli istrioni?