«…tragedia, 
          commedia, istoria, pastorale, pastorale comica, storico-pastorale, 
          tragico-istoria, tragico – istorico – comico - pastorale, scena 
          indivisibile, o poema illimitato.»
          
          
          (Amleto, Atto II, 
          sc. 2)
          
          
           
          
          
          “Non c’è tragedia, non c’è essenza del tragico che a condizione di 
          questa originarietà, più precisamente di questa anteriorità 
          pre-originaria e propriamente spettrale del crimine.”
          
          
          (J. Derrida, 
          Spettri di Marx, Milano 1994)
          
          
            
          
          
           “Condizione 
          necessaria della tragicità è l’escrescenza ineluttabile 
          dell’orrore che si sviluppa, aumenta, incombe.”
          
          
          (P. A. Florenskij,
          Amleto, Milano 2004)
          
          
            
          
          
          “La tragedia è una capra, la commedia un Priapo di paese e morte 
          è la parola che le collega.”
          
          
          (A. 
          Burgess, Nothing like the Sun)
          
          
           
          
           
          
           «A 
          cominciare dall’Orestea, sono parecchie le tragedie che 
          finivano bene come commedie. E’ un rovesciamento che Shakespeare 
          imparò e usò a cominciare dal Romeo e Giulietta, che 
          come tutti sanno incomincia come commedia. E’ anche questione di punti 
          di vista. La stessa vicenda essenziale di Giulietta diventa commedia in
          Molto rumore per nulla, dove un altro frate convince Ero 
          che s’ha da morir per vivere. L’eroe media tra il divino e l’umano: è 
          tragico per gli uomini, ma all’occhio di Dio è un uomo comico, come sa 
          Atena di Aiace. Del resto il tragico e il comico non sono negli eroi e 
          nella loro coscienza. Lo sa solo il drammaturgo che inventa la 
          situazione e l’azione. Gli eroi non sanno mai di essere tragici o 
          comici. Lo sono, ma non lo sanno. I personaggi del gran teatro sono 
          ignari di questo. Anzi gli eroi tragici sono comici perché non 
          capiscono quel che fanno, e i comici sono tragici come sapeva 
          Aristofane che li faceva piangere tra le risate. Lo sapeva 
          Socrate, che sosteneva che l’autore di teatro non può mancare di 
          essere insieme autor tragico e comico.»
          
           
          
          (N. D’Agostino, Shakespeare e 
          i greci, Roma 1994)