"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13 settembre 2007

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

 

54. Specchî

 

 

 

 


AMLETO (agli attori) - Perché ogni eccesso in questo è lontano dallo scopo del teatro, il cui fine, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura (the mirror up to nature)

 (Atto III, sc. 2)

 

AMLETO (alla Madre) - Non uscirete di qui prima che v'abbia messo davanti uno specchio in cui vi vedrete fino in fondo all'anima.

REGINA - Cosa vuoi fare? Non vorrai uccidermi?

(Atto III, sc. 4)

 

Ma quando il mio specchio mi mostra come sono davvero...

(Sonetto 62, v. 9)

 

 

«La metafora dello specchio che Amleto usa nel suo discorso agli attori richiede una particolare attenzione perché racchiude in sé la concezione shakespeariana dell’arte. L’arte (…) è la ricreazione di qualcosa che esiste già in natura ed ha un fine preciso: mostrare il bene e il male e fornire un insegnamento morale. La metafora dello specchio che, posto di fronte alla natura, aiuta a “vedere meglio”, ad emendare i vizi e a lodare le virtù, è stata di grande utilità nel diffondere, in ambito religioso, filosofico-letterario e anche artistico, il concetto di imitazione e tutti quei princìpi utili all’indagine nell’animo umano.

 

Alla fine del Cinquecento, in Europa, ciò che si chiama “specchio” era, come anticamente, o di metallo lucidato o convesso o, ed era una novità, di vetro. Quelli del primo e del secondo tipo riflettevano figure distorte o deformate, sempre, comunque, poco verosimiglianti. L’immagine riflessa, vuoi per le irregolarità delle superfici, vuoi per l’alterazione dei colori, appariva sempre falsata. Quanto ai nuovi specchi cinquecenteschi, gli specchi cristallini, ottenuti da vetri ricoperti da un amalgama di mercurio e stagno che offrivano una immagine più aderente al reale erano, in genere, molto piccoli (offrivano quindi una visione molto limitata), molto costosi e molto ricercati (soprattutto per le loro cornici).

 

Gli specchi che vende Autolycus in The Winter’s Tale (IV, 4, 603) potrebbero essere di questo ultimo tipo e a questo tipo di specchi “costosi” si fa riferimento anche in Richard III (I, 2, 255). La preziosità dei nuovi specchi in vetro è anche confermata da alcuni dati di fatto: le signore più eleganti e alla moda portavano un piccolo specchio legato in vita o inserito nel ventaglio; piccoli specchi impreziosivano vesti sontuose e copertine di libri e diari (si veda, di Shakespeare, il sonetto 77). Le misure di questi oggetti erano sempre di pochi centimetri.

 

(…)

 

I significati simbolici attribuiti allo specchio nel corso dei secoli dipendevano anche proprio dalla scarsa nitidezza d’immagine e dalle alterazioni che, sulla realtà, esso produceva. Le macchie scure e le forme distorte che comparivano sulla imperfetta superficie riflettente favorivano l’uso metaforico dello specchio: furono interpretate come segni del male, del vizio di cui l’uomo doveva liberarsi e che doveva cancellare nella sua ricerca di salvezza.»

 

(A. Anzi, Shakespeare e le arti figurative, Roma 1998)


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