AMLETO (agli attori) - Perché ogni eccesso in questo è lontano
dallo scopo del teatro, il cui fine, agli inizi come ora, è stato
sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura (the
mirror up to nature)…
(Atto III, sc. 2)
AMLETO (alla Madre) - Non uscirete di qui prima che v'abbia
messo davanti uno specchio in cui vi vedrete fino in fondo all'anima.
REGINA - Cosa vuoi fare? Non vorrai uccidermi?
(Atto III, sc. 4)
Ma
quando il mio specchio mi mostra come sono davvero...
(Sonetto 62, v. 9)
«La metafora dello specchio che
Amleto usa nel suo discorso agli attori richiede una particolare
attenzione perché racchiude in sé la concezione shakespeariana
dell’arte. L’arte (…) è la ricreazione di qualcosa che esiste già in
natura ed ha un fine preciso: mostrare il bene e il male e fornire un
insegnamento morale. La metafora dello specchio che, posto di fronte
alla natura, aiuta a “vedere meglio”, ad emendare i vizi e a lodare le
virtù, è stata di grande utilità nel diffondere, in ambito religioso,
filosofico-letterario e anche artistico, il concetto di imitazione e
tutti quei princìpi utili all’indagine nell’animo umano.
Alla fine del Cinquecento, in
Europa, ciò che si chiama “specchio” era, come anticamente, o di
metallo lucidato o convesso o, ed era una novità, di vetro. Quelli del
primo e del secondo tipo riflettevano figure distorte o deformate,
sempre, comunque, poco verosimiglianti. L’immagine riflessa, vuoi per
le irregolarità delle superfici, vuoi per l’alterazione dei colori,
appariva sempre falsata. Quanto ai nuovi specchi cinquecenteschi, gli
specchi cristallini, ottenuti da vetri ricoperti da un amalgama
di mercurio e stagno che offrivano una immagine più aderente al reale
erano, in genere, molto piccoli (offrivano quindi una visione molto
limitata), molto costosi e molto ricercati (soprattutto per le loro
cornici).
Gli specchi che vende Autolycus
in The Winter’s Tale (IV, 4, 603) potrebbero essere di
questo ultimo tipo e a questo tipo di specchi “costosi” si fa
riferimento anche in Richard III (I, 2, 255). La
preziosità dei nuovi specchi in vetro è anche confermata da alcuni
dati di fatto: le signore più eleganti e alla moda portavano un
piccolo specchio legato in vita o inserito nel ventaglio; piccoli
specchi impreziosivano vesti sontuose e copertine di libri e diari (si
veda, di Shakespeare, il sonetto 77). Le misure di questi
oggetti erano sempre di pochi centimetri.
(…)
I significati simbolici attribuiti
allo specchio nel corso dei secoli dipendevano anche proprio dalla
scarsa nitidezza d’immagine e dalle alterazioni che, sulla realtà,
esso produceva. Le macchie scure e le forme distorte che comparivano
sulla imperfetta superficie riflettente favorivano l’uso metaforico
dello specchio: furono interpretate come segni del male, del vizio di
cui l’uomo doveva liberarsi e che doveva cancellare nella sua ricerca
di salvezza.»
(A. Anzi, Shakespeare e le
arti figurative, Roma 1998)