"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007                                         


 

n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

46. Baldassar Castiglione

 

 

 

 


«Amleto è il principe e cortigiano del Castiglione, gran dilettante e competente delle arti.»

(N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare, Amleto, Milano 2004).

 

«E il colto dell’epoca di Shakespeare, per ciò che riguarda i principî morali, era atteggiato secondo un modello pagano-umanistico che si prefiggeva come scopo una perfezione morale ignara delle virtù cardinali cristiane della pietà e dell’umiltà, nonché della cardinale dottrina cristiana della natura peccaminosa e decaduta dell’uomo. Come si conciliava quest’atteggiamento con la religione cristiana? Ha osservato Giulio Preti nell’edizione del Cortegiano curata per “Millenni” Einaudi, che in codest’opera, “si ha il senso di un’umanità attiva e volta alla gloria del mondo, il senso di una cultura ‘mondana’, non rivolta alla salvazione dell’anima o all’estasi mistica, ma al servizio concreto dei reali interessi dell’umanità. Singolare a questo proposito è la posizione del dogma religioso nella costruzione del Cortegiano: il Castiglione – sappiamo da altri scritti e da quanto trapela in questa stessa opera – è uomo pio, di chiusa e rigida ortodossia; eppure… tranne qualche cenno, in tutta la costruzione del suo dialogo la religione è rigidamente messa da parte… Come presso tutti gli umanisti… il piano della sapienza mondana e il piano del dogma religioso accettato fondamentalisticamente, per fede (e forse, più che per fede, per tradizione) vengono rigidamente separati. La filosofia del Cortegiano… si muove su un terreno unicamente umano.”

 

E’ la poca familiarità che si ha oggi con questa posizione d’ambivalenza, e con la facilità con cui gli uomini di allora si spostavano da un sistema di valori pagano-umanistici a un altro derivante dalla tradizione cristiana, senza preoccuparsi di conciliare le contraddizioni, è il non rendersi conto di ciò che ci ha fatto pensare che Shakespeare non si sia mai messo al servizio di nessuna tesi, che ha indotto taluni a vedere in Re Lear (e tra costoro è il Kott) un messaggio di sconsolato nichilismo, ed altri una parabola cristiana, e molti a ritenere che il sostrato ideologico dell’epoca elisabettiana fosse inconsistente.»

 

(…)

 

«Forte senso della gerarchia sociale, virili virtù di fortezza e costanza che non escludevano scoppi d’ira magnanima, sete d’onore e di magnificenza, desiderio di continuità sia attraverso la specie che attraverso la fama postuma (motivi ricorrenti nei Sonetti), deificazione accettata come convenzione poetica, esaltazione della lealtà e dell’amicizia, la pubblica ignominia ritenuta la peggior disgrazia che possa capitare a un uomo, giustificazione del suicidio e del duello ed esigenza di morire in modo esemplare: questi sono i valori positivi che direttamente o indirettamente Shakespeare aveva assorbito dalla cultura dell’età sua.»

 

(…)

 

«Quando avvertiamo questa stessa concezione del mondo in uno scrittore del nostro Rinascimento, essa ci annoia per la sua banalità; ma Shakespeare l’ha saputa investire con tale complessità d’intuizione dell’animo umano, da riflettere non solo l’uomo della sua età, ma l’uomo di sempre: onde nei suoi personaggi tendiamo a leggere solo noi stessi, e quel che di loro ci sfugge non pensiamo di ricollegarlo ad altro, e parliamo di Shakespeare come di una sfinge.»

 

(M. Praz, Prefazione a J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano 2006)


 

torna a  

 

 

torna su