"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

16.  Cominciare a mezzanotte

 


 

BERNARDO – Chi è là?

FRANCESCO – No, parla tu. Fermati.

Chi sei?

(Atto I, sc. 1)

 

 

Le cime tempestose di Elsinore nel mezzo della notte buia e tempestosa dell’Amleto piacque incondizionatamente perfino al criticissmo Eliot: quei primi ventidue versi «composti con le parole più semplici nell’idioma più familiare. Shakespeare aveva lavorato a lungo nel teatro e scritto molte opere di valore, prima di raggiungere il livello in cui poteva scrivere quei ventidue versi… Un poeta è lontanissimo dal saper padroneggiare il verso drammatico finché non sa scrivere versi che, come questi nell’Amleto, sono trasparenti (T. S. Eliot, Poetry and Drama, in On Poetry and Poets, 1957).

 

Perché la notte? Hegel seppe dire tutto in un botto: «Le potenze notturne della tragedia attaccano all’improvviso» (G. W. F. Hegel, Estetica). «Forse è perché sta per accadere qualcosa di inaudito, e che cosa ci si può augurare di meglio? L’assenza di orizzonte fa paura, ma è forse la condizione affinché accada qualcosa di inaudito. Questo qualcosa, come sempre, può essere la morte.» (J. Derrida, Sulla parola, Roma 2005). – A seconda dell’estro, facili o ardui pensieri romantici: «Nella notte si trova la morte, si raggiunge l’oblio. Ma questa altra notte è la morte che non si trova, è l’oblio che si oblia, che è, entro l’oblio, il ricordo senza riposo.» (M. Blanchot, Lo spazio letterario, Torino 1975).

 

A cotal cospetto, il buon senso di Schopenhauer può apparire retrò come un sermone positivista: «In una compagnia chiassosa, e alla luce di molte candele, la mezzanotte non si presenta più come l’ora dei fantasmi. Tale invece è il caso per la mezzanotte tenebrosa, tranquilla e solitaria. Già per istinto noi temiamo allora il verificarsi di apparizioni, che si presentano come totalmente esterne, per quanto la loro causa prossima risieda in noi: noi temiamo così propriamente noi stessi. Chi teme il presentarsi di tali apparizioni, in realtà fa compagnia a se stesso» (A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena).

 


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