"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 

 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

15.  Ofelia furiosa

 


«Impazzita, recitava quella stessa parte che lui, nella scena del convento, aveva proiettato su di lei: la puttana disponibile.»

(R. CAVE, Recenti messe in scena dell’Amleto in Inghilterra, in Tradurre/Interpretare “Amleto”, Bologna 2002)

 

«E’ strano che un morente canti.»

(Re Giovanni, Atto V, sc. 7)

 

  

Se Amleto è l’anello debole della dinastia, Ofelia è l’anello debolissimo dell’Amleto… detta così potrebbe pensarsi a una specie di Amleto Buddenbrook… una saga che accoppia consapevolezza e decadenza, come del resto già nei celebri cicli e ricicli di Vico: se avessero mai fatto un piccino, che estenuati grilli bizantini avrebbe avuto per la testa?

 

Il colpo d’ala di Ofelia, fuori dal carcere e verso se stessa, è la follia oscena e la morte canterina. Ci opponiamo alla visione del tutto irrimediabilmente ochesca che da Gadda della fanciulla: se impazzisce, tanto scema non può essere. Non solo: se c’è del senno nella simulata pazzia di Amleto, qualcosa forse ancora di più abissale in quella di Ofelia! Così l’annuncia l’anonimo Signore, convincendo la Regina riottosa a vederla:

 

 

Il suo linguaggio è nulla, e tuttavia il suo uso informe

muove gli ascoltatori a fare congetture.

Ne restano sbigottiti e rattoppano le parole

perché si adattino ai loro stessi pensieri;

parole che, per come sono rese dai suoi ammicchi

e cenni e gesti, davvero farebbero pensare

che ci possa  essere pensiero, per quanto niente

di sicuro, ma comunque molto infelice.

(Atto IV, sc. 5)

 

Altro che un’oca. L’avvertenza fa intuire esegesi da poesia moderna: i firulì firulà di Ofelia come striscioline verbali di un Mallarmé letto da Lacan… - Dopo che la non più sicuramente vergine ha canterellato filastrocche («…entrò la vergine, che mai più vergine di fuori uscì…  Dice la tosa: mi volevi sposa prima di stendermi col dorso in posa…», Atto IV, sc. 5), dice qualcosa d’intelligente perfino Laerte: «Questo nulla di senno è più che senno comune… una lezione pur nella pazzia…» (Ibid.), commento identico a quello celebre di papà Polonio sulla follia di Amleto («C’è del metodo nella sua follia», Atto II, sc.2).

 

Gli adulti spiegano a sé i giovani, e li perdono. Come Polonio non resisteva a fare il patologo riduzionista sulla follia del principe, ora, defunto lui, il Re direttamente corre a ridurre la follia di Ofelia a uno: «Oh, questo è il veleno di un affanno profondo; deriva tutto dalla morte di suo padre…» (Atto IV, sc. 5). A riprova di quanto facilmente le risposte siano la forma peggiore d’oblio delle domande.

 

Tra Amleto e Ofelia, alla fine, la stessa distanza che sappiamo tra il dire e il fare: «Se Amleto ha finto di essere pazzo, Ofelia pazza c’è diventata. Se lui ha flirtato col suicidio, lei lo ha messo in atto. Per una specie di fedeltà di natura alle parole? alla lingua? per una specie di ingenua relazione alla verità? perché è innocente? e chi è innocente non finge?» (N. Fusini, Donne fatali, Roma 2005)

 

Alla fine, tutt’e due lasciano fare, lasciano che l’inevitabile sia come se fosse la storia di un altro: una storia, dunque, fatale. Amleto si lascia cadere come il passero dall’albero («Lascia che sia», Atto V, sc. 2); Ofelia, in un’ordalia di sé straniata e manchevole dello stesso soggetto, lascia che faccia il fiume: «come una che non sa quale rischio la tenga» (Atto IV, sc. 7).


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