Polonio - E ora
resta da scoprire la causa dell'effetto.
(Atto II, sc. 2)
Re - Come sta
Amleto?
(Atto IV, sc. 1)
Pazzo o non
pazzo? Ci vorrebbe tutta la paziente dossomanìa di Bouvard e Pécuchet
per elencare con un po’ di criterio tutte le diagnosi sulla salute
psichica di Amleto, emblema ambiguo di ingegno e di follia. La babele
di congetture, del resto, è uno dei fili rossi della trama stessa del
dramma. Subito all’inizio, Orazio lo avverte che rischia di diventar
pazzo a restar solo col fantasma: figurarsi se questo trattiene
Amleto, che però, sopravvissuto malconcio allo Spettro, avvertirà
tutt’alterato i suoi compagni che d’ora in poi
forse
fingerà d’essere pazzo. Presto però iniziando a dire, anche a se
stesso, che ormai è folle davvero: anche lui «E’ un pazzo misto, con
molti intervalli di lucidità» (M. de Cervantes,
Don Chisciotte della Mancia)?
Giochiamo per
cinque minuti ai dottori.
Il dato di
partenza inconfutabile è quella che Claudio chiama la «Hamlet’s
transformation» (Atto II, sc. 2): un’evidenza che si fa
vox populi
se Amleto stesso, redivivo dal mare, la sentirà dalla bocca del
becchino: «il giovane Amleto: quello che è pazzo (mad) e l’hanno
mandato in Inghilterra» (Atto V, sc. 1).
Incontestabile
il mutamento («my too-much changed son», dice la mamma Atto II, sc.
2), la questione è risalire alla causa e presagirne gli effetti:
qualcosa che, dato lo status principesco del paziente, e la recente e
sospettabilissima morte del babbo, sta a metà tra psichiatria e
politica: tanto, che non medici ma spie gli verranno messe dintorno
ossessive e ridicole, goffe e imprecise come pare sia tipico dagli
arciprofessionisti della CIA in giù.
Difficile non pensare qui a
una scelta di Shakespeare d’economia drammaturgica e allo stesso tempo
di precisione: a differenza che in molti altri drammi, in Amleto c’è
almeno un malato ma neppure un medico – e la figura comica del medico
che offre parole parole parole invece che rimedi viene concentrata
nel, appunto, servo politico e d’alto rango Polonio. Che sia una
mancanza tutt’altro che ovvia per contrasto può mostrarcelo il ben più
barbarico Macbeth, dove il medico è una figura impotente e
onesta («Questo è un male che supera i confini / delle mie
competenze», Atto V, sc. 1) che contempla senza rimedio la
follia della Lady (e Macbeth, con parole che direbbero benissimo anche
Amleto: «Non sai curare una mente malata?/ Non sai tu sradicarle dal
cervello / una pena che vi sta abbarbicata, /e per mezzo di qualche
dolce antidoto / che ridoni l'oblio, nettargli il petto / da quel
greve, pericoloso ingombro / che la turba e le appesantisce il
cuore?», Atto V, sc. 3).
E, insomma, «come sta
Amleto?» come chiede il re. Rispondere è dovere di Polonio che, primo
ministro e cortigiano, fino alla fine sarà l’uomo delle risposte:
«This is very ectasy of love»
(«Questa è autentica follia d’amore», Atto II, sc. 1). La forma
mentis di Polonio è cortigiana prima di tutto in questo: il re fa
domande e il cortigiano imbandisce risposte. La cosa gli è così
intrinseca, che la domanda in quanto tale pare assente nei pensieri di
Polonio: come se la domanda fosse prerogativa dei re e dei fannulloni.
Il funzionario efficiente
(«Spiccate questa [la testa] da questo [il collo] se sbaglio.»,
Atto II, sc. 2) vive in un mondo ricolmo di risposte più o meno
celate, più o meno capziosamente custodite. Ma sempre esistenti: il
reale è razionale e sillogizzando s’arriva ovunque. Se essere o non
essere è davvero una question, il mondo di Polonio – il mondo del
«funzionario» analizzato da Heidegger in Essere e tempo
- è tutto «essere»: ma solo
perché la cerimonia del potere non gli permette di sospettare che
botola ontologica sia quel verbo.
La diagnosi di Polonio è
ariostesca, ovvia, elegante e superficiale: come Orlando, Amleto «per
amor venne in furore e matto, / d'uom che sì saggio era stimato prima»
(L. Ariosto, Orlando furioso, Canto I, 2). Polonio
stesso ha imposto a Ofelia-Angelica di non corrispondere il principe:
«e lui, respinto, a dirla in breve, cadde nella malinconia, da cui
l'inedia, da cui l'insonnia, da cui l'anemia, da cui lo smarrimento, e
così declinando la pazzia nella quale adesso infuria e attrista tutti»
(Atto II, sc. 2): pare un riassunto felice per brevità ed
esattezza del canto XXIII del Furioso, dove
Orlando passa rapidamente proprio attraverso gli stadi descritti dal
Pico de’ Paperis della corte di Danimarca.