"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

26.  Diagnosi senza medici

 


 

Polonio - E ora resta da scoprire la causa dell'effetto.

(Atto II, sc. 2)

 

Re - Come sta Amleto?

(Atto IV, sc. 1)

 

 

Pazzo o non pazzo? Ci vorrebbe tutta la paziente dossomanìa di Bouvard e Pécuchet per elencare con un po’ di criterio tutte le diagnosi sulla salute psichica di Amleto, emblema ambiguo di ingegno e di follia. La babele di congetture, del resto, è uno dei fili rossi della trama stessa del dramma. Subito all’inizio, Orazio lo avverte che rischia di diventar pazzo a restar solo col fantasma: figurarsi se questo trattiene Amleto, che però, sopravvissuto malconcio allo Spettro, avvertirà tutt’alterato i suoi compagni che d’ora in poi forse fingerà d’essere pazzo. Presto però iniziando a dire, anche a se stesso, che ormai è folle davvero: anche lui «E’ un pazzo misto, con molti intervalli di lucidità» (M. de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)?

 

Giochiamo per cinque minuti ai dottori.

Il dato di partenza inconfutabile è quella che Claudio chiama la «Hamlet’s transformation» (Atto II, sc. 2): un’evidenza che si fa vox populi se Amleto stesso, redivivo dal mare, la sentirà dalla bocca del becchino: «il giovane Amleto: quello che è pazzo (mad) e l’hanno mandato in Inghilterra» (Atto V, sc. 1).

Incontestabile il mutamento («my too-much changed son», dice la mamma Atto II, sc. 2), la questione è risalire alla causa e presagirne gli effetti: qualcosa che, dato lo status principesco del paziente, e la recente e sospettabilissima morte del babbo, sta a metà tra psichiatria e politica: tanto, che non medici ma spie gli verranno messe dintorno ossessive e ridicole, goffe e imprecise come pare sia tipico dagli arciprofessionisti della CIA in giù.

 

 

Difficile non pensare qui a una scelta di Shakespeare d’economia drammaturgica e allo stesso tempo di precisione: a differenza che in molti altri drammi, in Amleto c’è almeno un malato ma neppure un medico – e la figura comica del medico che offre parole parole parole invece che rimedi viene concentrata nel, appunto, servo politico e d’alto rango Polonio. Che sia una mancanza tutt’altro che ovvia per contrasto può mostrarcelo il ben più barbarico Macbeth, dove il medico è una figura impotente e onesta («Questo è un male che supera i confini / delle mie competenze», Atto V, sc. 1) che contempla senza rimedio la follia della Lady (e Macbeth, con parole che direbbero benissimo anche Amleto: «Non sai curare una mente malata?/ Non sai tu sradicarle dal cervello / una pena che vi sta abbarbicata, /e per mezzo di qualche dolce antidoto / che ridoni l'oblio, nettargli il petto / da quel greve, pericoloso ingombro / che la turba e le appesantisce il cuore?», Atto V, sc. 3).

 

E, insomma, «come sta Amleto?» come chiede il re. Rispondere è dovere di Polonio che, primo ministro e cortigiano, fino alla fine sarà l’uomo delle risposte: «This is very ectasy of love» («Questa è autentica follia d’amore», Atto II, sc. 1). La forma mentis di Polonio è cortigiana prima di tutto in questo: il re fa domande e il cortigiano imbandisce risposte. La cosa gli è così intrinseca, che la domanda in quanto tale pare assente nei pensieri di Polonio: come se la domanda fosse prerogativa dei re e dei fannulloni.

Il funzionario efficiente («Spiccate questa [la testa] da questo [il collo] se sbaglio.», Atto II, sc. 2) vive in un mondo ricolmo di risposte più o meno celate, più o meno capziosamente custodite. Ma sempre esistenti: il reale è razionale e sillogizzando s’arriva ovunque. Se essere o non essere è davvero una question, il mondo di Polonio – il mondo del «funzionario» analizzato da Heidegger in Essere e tempo - è tutto «essere»: ma solo perché la cerimonia del potere non gli permette di sospettare che botola ontologica sia quel verbo.

 

  

La diagnosi di Polonio è ariostesca, ovvia, elegante e superficiale: come Orlando, Amleto «per amor venne in furore e matto, / d'uom che sì saggio era stimato prima» (L. Ariosto, Orlando furioso, Canto I, 2). Polonio stesso ha imposto a Ofelia-Angelica di non corrispondere il principe: «e lui, respinto, a dirla in breve, cadde nella malinconia, da cui l'inedia, da cui l'insonnia, da cui l'anemia, da cui lo smarrimento, e così declinando la pazzia nella quale adesso infuria e attrista tutti» (Atto II, sc. 2): pare un riassunto felice per brevità ed esattezza del canto XXIII del Furioso, dove Orlando passa rapidamente proprio attraverso gli stadi descritti dal Pico de’ Paperis della corte di Danimarca.

 


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