«L’idea di essere
pazzo attenuava i suoi rimorsi; malato non sarebbe responsabile.»
(su Strindberg: K.
Jaspers, Genio e follia, Milano 2001)
Prima del duello fatale,
Amleto a Laerte, a cui ha ammazzato senza onore il padre, parla in terza
persona e per dilemmi: «…io proclamo che fu pazzia. / E’ stato Amleto a
far torto a Laerte? Mai Amleto. / Se Amleto è strappato a se stesso, / e,
quando non è se stesso, fa torto a Laerte, / allora Amleto non lo fa,
Amleto lo nega. / Chi lo fa allora? La sua pazzia. Se è così, / Amleto è
dalla parte che riceve il torto. / La sua pazzia è la nemica del povero
Amleto» (Atto V, sc. 2). Come succede sovente nei postumi degli
omicidi (Rashkolnikov che conclude la sua confessione a Sonja
dicendo che non ha ucciso lui l’usuraia e la sorella, ma «il diavolo», e
Baudelaire che inizia I Fiori del Male facendo il sarcastico
sul diavolo che tiene tutti «i fili» umani…), Amleto proclama una
provvisoria incapacità di intendere e di volere: comodo però
quest’anticipo dei raptus pirandelli da Enrico IV… - Già Orlando,
furioso e più micidiale d’un tornado, di sé diceva «Non son, non sono io
quel che paio in viso: / quel ch’era Orlando è morto ed è sotterra; / la
sua donna ingratissima l’ha ucciso» (L. Ariosto, Orlando furioso, Canto XXIII, 128), e l’ultimo verso rimanderebbe per simmetria a Ofelia,
come Amleto stesso in altri luoghi sostiene, ma senza dire il vero.
Prendendo alla lettera tutto
il dramma e dando ragione a tutti, si potrebbe concludere che Amleto,
impazzito per colpa dello Spettro, è un pazzo che simula di essere pazzo,
affettando una pazzia machiavellica che però non sempre gli riesce:
vorrebbe aver più metodo, e invece ogni tanto piange.