AMLETO - …ora lo farò; e così egli va in cielo…
(Atto
III, sc. 3)
RE -
Amleto ritorna: che cosa sareste disposto a fare, per mostrarvi figlio
di vostro padre in fatti più che in parole?
LAERTE - A tagliargli la gola in chiesa.
(Atto
IV, sc. 7)
«Il
nemico è la personificazione del nostro proprio problema.»
(C.
Schmitt, Ex captivitate salus)
Atto III, sc. 3:
Amleto entra e scorge Claudio solo, inginocchiato a pregare. Cosa sia
in realtà quella preghiera lo spettatore lo sa bene dal precedente
monologo di Claudio: un’inconcludente disperata non preghiera
sull’impossibilità di pregare per l’assassino che pretende il condono
di Dio senza contrizione e pentimento (“Si può essere perdonati e
serbare il delitto?”). Amleto, che si vantò di non credere mai a ciò
che solo «sembra» (Atto I, sc. 2), benché filosofo e teologo
dei più estremi, accetta subito quell’apparenza come vera: sarebbe
come se ci bastasse a commuoverci un capo mafioso in chiesa, magari
con sguardi e mani atteggiate a santa Teresa del Bernini? – O
forse il Claudio inginocchiato è una rarità? Amleto non lo dice. Viene
in mente un famoso ragazzino inginocchiato e rivolto verso il muro: ha
le mani con le dita intrecciate, anche se tenute basse, in una
preghiera – se lo è – che si può pensare troppo lunga e consueta per
essere intensa; lo sguardo però è rivolto verso l’alto, è
indefettibile, come preso da una visione: non dev’essere un ragazzino
ma un nano perché il volto è del tutto adulto, segnato da occhiaie e
con gli inconfondibili baffi del Führer (Maurizio Cattelan, Him
2001).
Con tutto l’attuale blablà
sui tiranni da uccidere o meno, dove pare non valere più il
comandamento di
Victor Hugo
(tutti andrebbero giustiziati e amen), verrebbe per un istante
da chiedersi: lo uccideremmo, e certo la domanda – su un piatto della
bilancia il male fatto, sull’altro una posa, è fatua. Tanto più se tra
i milioni di morti ci fosse nostro padre…
Che sia l’Edipo o meno (S.
Freud, Interpretazione dei sogni; e poi E. Jones, Amleto e Edipo…)
Amleto invece lo salva: lo salva magari perché è capzioso per viltà
(per «ben tre quarti», Atto IV, sc. 4); seguendo la lettera,
perché non si fida di Dio: «un ribaldo uccide mio padre; e per questo,
io, suo figliuolo, questo stesso ribaldo mando in cielo…».
Amleto crede di vedere che,
per l’occhio della giustizia divina, Claudio gode ora di una
superiorità infinita: «Egli colse mio padre in un atto materiale,
sazio di cibo, con tutti i suoi misfatti in pieno fiore, rigogliosi
come il maggio» (e qua cita letteralmente lo spettro che si confessò
ucciso nel fiore dei peccati…). Se la giustizia di Dio fosse questa,
sarebbe ingiusta, perché «secondo i nostri indizi, e il nostro modo di
pensare, egli ha un grave peso»… - Indizi e modo di pensare, tra
l’altro, è un’espressione così relativizzante, da farci sospettare che
neanche la trappola per topi sia stata sufficiente a chiarire. Ma ora
ci interessa questa hybris dell’omicida che procrastina un
delitto perché lo pretende perfetto al punto da uccidere di Claudio il
corpo e l’anima assieme: ucciderlo: «quando egli è ubriaco fradicio, o
nella sua furia, o nel piacere incestuoso del suo letto [dunque,
come un marito geloso, irrompere sul letto della madre e uccidergli
l’amante nel pieno dell’amplesso?], tra il giuoco, le bestemmie…»,
affinché «la sua anima sia dannata e nera come l’inferno, dov’egli
va». – Tra l’altro, sulla vaexata quaestio della religione di
Amleto, se il principe crede queste cose, è chiaro che è cattolico
(come per esempio sostiene Auden): magari lo è solo per questi
cinque minuti, cattolico per non uccidere Claudio. Le religioni sono
belle perché, perfino tra Cinque e Seicento, sono funzionali.
Comunque ci si cavilli, la
decisione di Amleto di non uccidere il re «è la prima di una serie di
scene orribili (fino a IV, iii) in cui Amleto è davvero
portatore di negatività e di morte. Egli risparmia Claudio solo per
ucciderlo due volte, nel corpo e nell’anima. Questo è un peccato
repellente dal punto di vista cristiano, e un errore madornale da
quello machiavellico. Amleto non sa quel che fa e lavora a preparare
la propria rovina» (N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare, Amleto,
Milano 2004).
Si pensi per contrasto che
pio omicida sia invece Otello («Non voglio ucciderti senza che
la tua anima sia preparata. Dio me ne guardi! No, non voglio uccidere
la tua anima.», Atto V, sc. 2)
All’opposto Laerte, nel IV
Atto (vedi esergo), promette a Claudio che per vendicare il padre
Polonio ucciderebbe Amleto anche in chiesa. E certo non pensa
nell’iperbole all’anima di Amleto, ma a cosa voglia dire non
rispettare il tabù delle sacre mura.
Claudio, qualche scena prima
pseudopregante, assente: «Nessun luogo, infatti, dovrebbe dare asilo
all’assassinio; la vendetta non dovrebbe avere alcun confine »
(Atto IV, sc. 7).