«Non è certo
un caso che tre capolavori della letteratura di tutti i tempi
trattino lo stesso tema, il parricidio: alludiamo all’Edipo Re
di Sofocle, all’Amleto di Shakespeare e ai Fratelli
Karamazov di Dostoevskij. In tutte e tre le opere è messo a nudo
anche il motivo del misfatto: la rivalità sessuale per il possesso
della donna.»
(S. Freud,
Dostoevskij e il parricidio, 1927)
Testo alla mano e luce nei
pensieri, il contestassimo Freud chiarisce almeno questo: Amleto è
incapace di azione solo in una determinata e molto specifica
condizione. Il resto è azione.
Per Freud Amleto è un Edipo
moderno, dove moderno sta per mancato: un Edipo che
con la madre non passa all’atto: passo essenziale, benché nel
caso di Amleto mancato a sua volta, verso la sublimazione – ma è lo
stesso - «un passo in più nella rimozione» (J. Derrida,
Spettri di Marx, Milano 1994).
Che il complesso d’Edipo sia nato
in realtà come complesso di Amleto, dato l’amore di Freud per
Shakespeare, non può neppure stupire: «leggeva e rileggeva
Shakespeare, che aveva cominciato a conoscere a otto anni e di cui
aveva sempre pronta una citazione al momento giusto. Ne ammirava in
special modo la superba potenza espressiva e anche più la
conoscenza, così vasta, della natura umana. Ricordo qualcuna delle
sue bizzarre idee sull’autore inglese: diceva che la sua fisionomia
non poteva essere quella di un anglosassone, ma poteva invece essere
francese, e suggeriva che il nome Shakespeare derivasse dalla
corruzione di Jacques Pierre.» (E. Jones, Vita e opere di
Freud. 1856-1900, 1953).
Tra il 1896 e il 1897,
Freud stava raccogliendo materiale preso dalle fantasie, dai sogni
ad occhi aperti dei suoi pazienti. C’era un motivo che tornava
sempre: la seduzione di una bambina da parte del padre, un elemento
troppo costante per poter essere a lungo preso per vero. Il 21
dicembre del 1897 scrive all’amico Fliess, medico come
lui, che «rimane la spiegazione che la fantasia sessuale si
impossessi regolarmente del tema dei genitori».
Quasi un anno dopo, il 15 ottobre
1898: «Mi è nata una sola idea di valore generale: in me
stesso ho trovato l’innamoramento per la madre e la gelosia verso il
padre, e ora ritengo che questo sia un evento generale della prima
infanzia»; cita quindi Edipo re. «Mi è balenata l’idea
che la stessa cosa possa essere alla base dell’Amleto. Non
penso a un’intenzione deliberata di Shakespeare, ma ritengo
piuttosto che un avvenimento reale abbia spinto il poeta a tale
rappresentazione, mentre il suo inconscio capiva l’inconscio
dell’eroe. Come giustifica l’isterico Amleto la frase: “Così la
coscienza ci rende tutti codardi” e la sua esitazione a vendicare il
padre uccidendo lo zio, quando lui stesso non si fa alcuno scrupolo
nel mandare a morte i suoi cortigiani e non esita un istante a
uccidere Laerte?» (S. Freud, Epistolari. Lettere a W. Fliess.
1887-1904, Torino 1986).
Siamo già nell’ambito di pensieri
dell’Interpretazione dei sogni, pubblicato l’anno
dopo:
«Nello stesso
terreno dell’Edipo re si radica un’altra grande
creazione tragica, l’Amleto di Shakespeare. Ma nella
mutata elaborazione della medesima materia si rivela tutta la
differenza nella vita psichica di due periodi di civiltà tanto
distanti tra loro, il secolare progredire della rimozione nella vita
affettiva dell’umanità. Nell’Edipo, l’infantile
fantasia di desiderio che lo sorregge viene tratta alla luce e
realizzata come nel sogno; nell’Amleto permane rimossa
e veniamo a sapere della sua esistenza - in modo simile a quel che
si verifica in una nevrosi - soltanto attraverso gli effetti
inibitori che ne derivano. L’effetto travolgente del dramma più
recente si è dimostrato singolarmente compatibile col fatto che si
può rimanere perfettamente all’oscuro del carattere dell’eroe. Il
dramma è costruito sull’esitazione di Amleto ad adempiere il compito
di vendetta assegnatogli; il testo non rivela quali siano le cause o
i motivi di questa esitazione, né sono stati in grado di indicarli i
più diversi tentativi di interpretazione. Secondo la concezione
tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta
il tipo d’uomo la cui vigorosa forza di agire è paralizzata dallo
sviluppo opprimente dell’attività mentale (“la tinta nativa della
risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero”).
Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere
morboso, indèciso, che rientra nell’àmbito della nevrastenia.
Sennonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve
affatto apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo
vediamo agire due volte, la prima in un improvviso trasporto
emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio,
una seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con
tutta la spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due
cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo
inibisce nell’adempimento del compito che lo spettro di suo padre
gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la spiegazione: la
particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne
compiere la vendetta sull’uomo che ha eliminato suo padre
prendendone il posto presso sua madre, l’uomo che gli mostra attuati
i suoi desideri infantili rimossi. Il ribrezzo che dovrebbe
spingerlo alla vendetta è sostituito in lui da autorimproveri,
scrupoli di coscienza, i quali gli rinfacciano letteralmente che
egli stesso non è migliore del peccatore che dovrebbe punire. Così
ho tradotto in termini di vita cosciente ciò che nella psiche
dell’eroe deve rimanere inconscio. Se qualcuno vuol dare ad Amleto
la denominazione di isterico, posso accettarla solo come corollario
della mia interpretazione. A questa ben s’accorda l’avversione
sessuale che Amleto manifesta poi nel dialogo con Ofelia, la
medesima avversione sessuale che negli anni successivi doveva
impadronirsi sempre più dell’animo del poeta, sino alle sue estreme
manifestazioni nel Timone d’Atene. Naturalmente, può
essere solo la personale vita psichica del poeta, quella che si pone
di fronte a noi nell’Amleto.
Traggo dall’ opera di Georg
Brandes su Shakespeare la notizia che il dramma è stato composto
immediatamente dopo la morte del padre di Shakespeare (1601),
quindi in pieno lutto, nella reviviscenza - ci è lecito supporre -
delle sensazioni infantili di fronte al padre. È noto anche che il
figlio di Shakespeare, morto giovane, aveva nome Hamnet (identico a
Hamlet).»
(S. Freud,
L’interpretazione dei sogni, traduzione italiana di E.
Fachinelli e H. Trettl, Milano 1973)
Otto Rank
completa così: «Nel “fantasma del padre di Amleto” s’intreccia
quindi tutta una serie di potenti impulsi inconsci del poeta: non
solo l’odio infantile per il padre e l’inclinazione erotica per la
madre, ma anche come reazione il contrario, cioè il complesso di
incesto che porta a venerare il padre e disprezzare la madre; e
infine anche la punizione di questi impulsi proibiti: la paura,
cioè, che il figlio possa contraccambiare con eguale odio.» (O.
Rank, Il tema dell’Incesto, 1912)
Le intuizioni di Freud verranno in seguito diligentemente ampliate
da Ernst Jones nel suo Hamlet and Oedipus (1949),
dove si leggerà di una paralisi isterica («un serio caso
di isteria di tipo ciclotimico»), di un’«abulia specifica» che
impedisce ad Amleto la vendetta.
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