"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 13, settembre 2007                                         

 

           n. 13 °*°  William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto °*° n. 13

 


 

 

72. Francesi romantici

 

 


 

Il primo vero incondizionato amante di Shakespeare fu Stendhal, che nell’estate del 1822 assistette a un famigerato Othello al Théâtre de la Porte-Saint-Martin in cui una compagnia di attori inglesi venne fischiata da focosi giovanotti liberali persino al grido «Abbasso Shakespeare! Aiutante in campo del duca di Wellington!» (Ricordi d’egotismo). Indignato e paterno verso quella ideologica gioventù, ), ma più in generale animato da una drastica «carica di aggressività demolitrice» (M. Colesanti, intr. a Stendhal, Racine e Shakespeare, Palermo 1980), scrisse due pamphlets dallo stesso titolo: Racine e Shakespeare. Il primo nel 1823 «messo insieme come capitava» (M. Crouzet, Stendhal. Il signor Me stesso, Roma1990), il secondo nel 1825 (giusto gli anni di De l’Amour). «Se ne parlò: fu un successo di stima che impose immediatamente, per il pubblico ristretto di tutti coloro che si interrogavano sulla famosa riforma-rivoluzione letteraria, il nome totalmente sconosciuto di “Stendhal”» (Ibid.).

Il Teatro di Clara Gazùl dell’amico Merimée dà i primi esiti felici. L’11 settembre 1824 esce il primo numero del Globe: vi scrivono tra gli altri Hugo, Vigny, Deschamps, Sainte-Beuve. Vi leggi un bellissimo principio di come dovrebbe essere il lavoro di un critico: «Il dovere della critica non è quello di interdire, ma di provocare i tentativi (…) perché sono i tentativi felici che gli danno le regole; essa non stabilisce la legge che a posteriori. Il tempo delle imitazioni è passato. Bisogna creare oppure tradurre» (Duvergier de Hauranne, Du Romanticisme, in Le Globe, Paris 24 mars 1825).

Fondamentale in questa battaglia, che non è semplicemente di articoli di giornale ma soprattutto di gestione dei teatri, la figura del barone Taylor, già fondatore con Alaux del Panorama Dramatique, dal 9 luglio 1825 dirige la Comédie Française, che si apre al teatro spettacolare del melodramma. Il 27 novembre 1825 debutta il Léonidas di Pichat, Talma protagonista. Grande successo. Il 19 ottobre 1826 però Talma muore, e ai funerali partecipa una folla di 20.000 persone.

Quando, nel settembre del 1827, una compagnia di attori inglesi viene a recitare Shakespeare, a differenza di cinque anni prima, è un trionfo: «In Francia l’attore muore molto decentemente; l’eroe si colpisce e grida: “Io spiro!” In Inghilterra l’eroe si colpisce o è colpito e impiega un quarto d’ora a morire. Prima di spirare ci regala tutto ciò che c’è di più penoso nella natura. Lo vediamo con il tetano, il rantolo dell’agonia e il riso sardonico» (A. Duval, Preface de Charles II, cit. in M. Fazio, Il mito di Shakespeare e il teatro romantico, Roma 1992).

Fu tale il successo, che la compagnia, invece di fermarsi a Parigi i tre mesi previsti, vi rimase quasi un anno, e fu così che i parigini conobbero i grandi: Miss Smithson, Kemble, Macready, Kean (sia Macready che Kemble in Hamlet).

Victor Hugo, già enfant sublime della letteratura nazionale (Chateaubriand) si vede capace di assurgere a Shakespeare nazionale: leggi la Préface al suo Cromwell, dove, accanto all’idea di un teatro pieno di “natura e verità”, vitale e libero, proclama la necessità di scrivere in versi, «con argomenti non molto dissimili da quelli di Schlegel» (M. Fazio, Il mito di Shakespeare e il teatro romantico, Roma 1992). La Prefazione al Cromwell – dramma di fatto irrappresentabile per l’eccesso di personaggi e di cambi di scena - diventa subito il vangelo dei romantici.


 

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