“Certo
Mozart, come divino ispiratore delle sue creature, regge le fila della
situazione, certo si identifica in loro nelle loro azioni e reazioni,
eppure si sottrae a noi garantendosi il distacco dello
spassionatamente obiettivo. Non condanna mai, nemmeno là dove quasi
tutti i personaggi, all’infuori del protagonista, sono dominati
dall’idea di condannare il protagonista: nel Don Giovanni. In una rigorosa neutralità di giudizio e al di là di
ogni morale Mozart sostiene i principi del positivo come del negativo
– per quanto qui si possa parlare di positivo, dato che le
prerogative di ciascun personaggio si manifestano quasi esclusivamente
in relazione all’eroe negativo, Don Giovanni, che tiene tutti gli
altri in suo potere. La capacità di immedesimazione di Mozart è
ripartita senza la minima parsimonia ma con equanimità – con una
equanimità che ci sorprende e stupisce – tra la forza e la
debolezza, tra disperazione e trionfo, malvagità e bontà.”
(W. HILDESHEIMER, Mozart).
Qualcosa
di simile aveva già scritto Abert:
“…in
questo dramma non si tratta di colpa e di espiazione, ma di essere o
non essere, e la tremenda tragicità del finale riposa sulla grandezza
e terribilità del fatto in se stesso e non sul trionfo di un ordine
morale sul mondo dell’apparenza. E’ il più puro spirito
rinascimentale che irrompe ancora una volta, in perfetta
corrispondenza con la visione mozartiana del mondo che misura la realtà
con il suo stesso metro e non sulla base di principi a lei esterni,
ricavati filosoficamente.”
E
va quasi da sé che, rispetto a tanto, il libretto “è veramente
solo uno scheletro sul quale lo scultore ha plasmato la sua opera…
Più di ogni altra questa partitura è il vero trionfo della sua
fantasia drammatico-musicale.”
(H.
ABERT, Mozart).