“A
ragione si è voluto recentemente mettere in relazione con il Don Giovanni
l’ultima lettera di
Mozart al padre, piena di considerazioni sulla morte. In tal caso
conviene però considerare l’opera come completamente negativo della
lettera. Al padre Mozart presenta la morte come bonaria amica
dell’uomo, mentre la musica del Don
Giovanni ce ne descrive tutti
gli orrori. Si vede chiaramente come vi fossero per lui delle ore in
cui, a onta di tutti gli insegnamenti massonici, prendeva il
sopravvento la componente goethiana della sua natura, quella positiva
nei confronti del mondo sensibile.” (H.
ABERT, Mozart).
Sembra
chiaro che Abert pensa solo alla morte del Dissoluto. Ma l’opera
comincia con la morte del Commendatore, sulla quale Jouve ha scritto:
“nel modo in sui si volge questa morte iniziale, questa morte che
determinerà il dramma, stupisce l’impressione di luce. Senza alcuna
immagine di trascendenza, la morte ci conquista con la sua dolcezza;
in quest’istante vediamo compiersi la morte bella e giusta, e questo
compimento (per l’anima di Mozart come per la nostra) ha un
carattere di profonda seduzione Il silenzio che si crea, lo
straordinario placarsi delle linee musicali. Mozart li medita: osserva
l’ingresso nell’infinito attraverso la porta della trasparente
immobilità e ne sente l’attrazione. E’ ciò che l’orchestra
alla fine dice lentamente in due grandi sospiri di forma cromatica,
con gli oboi e poi con i flauti, più freddi” (P.-J. JOUVE, Il
Don Giovanni di Mozart,
Adelphi).
Non
sarà certo l’idea della morte di don Giovanni, che tutt’al più
ne penserà qualcosa appena morendo. Per il Dissoluto varrà
quest’inattaccabile pensierino del suo collega Casanova?
“...vi
confesso che non ne so nulla; e che se per sapere se sono immortale
debbo morire non ho premura di giungere alla conoscenza di una simile
verità. Una verità che costa la vita costa troppo. Ma se mi capiterà
dopo la morte di sentire ancora, non ammetterò mai di essere
morto…”
(Lettera,
a un anno dalla morte, a Elisa von der Recke).