Naturalmente,
la storia del Don
Giovanni di Mozart e Da Ponte è anche
canagliesca: il libretto per metà è infatti un
plagio. Del resto, dal momento che può essere
che il ladro abbia più gusto del derubato, il
plagio è un arte, e in questo si potrebbe
davvero imparare qualcosa da Da Ponte (come
avevamo già imparato da Stendhal!).
Come
lavorava Da Ponte? - Tra Mozart,
esigente e magari tirannico, e potenti e
suscettibili cantanti, forse lavorò da vero
Leporello del teatro d’opera: “per chi nulla
sa gradir”, del resto era quanto toccava
sempre a un librettista, anche se una delle
tante cose divertenti di Da Ponte è che, nelle Memorie,
si racconterà all'opera come una summa tra
Alfieri e il Valmont delle Relazioni
pericolose...
E
invece, come per
Masetto, era tutto un “signorsì!”.
Poiché
musica e versi andavano sempre riadattati agli
interpreti come un costume a corpi nuovi, già
solo per questo i cantanti - che potevano tutto
ed erano costosissimi - obbligavano lo scrivano
all’idea che dalla penna non nascevano lavori
“finiti”, ma manufatti provvisorî, sempre
disposti all'obbedienza della variante: certo
sano artigianato, ma anche un’idea dell’arte
che tornerà ad essere chiara forse appena
grazie a un poeta sofisticato come Valéry, o
con Picasso: un'opera d'arte non è finita
“mai”.
E’
ovvio che questo non
toglie nulla al miracolo.
Scrittura serva e perfino
sguattera, il Don Giovanni di Da Ponte e
Mozart infiamma definitivamente un mito. - E’
da questo Dissoluto
che discende un sabba stupefacente di
variazioni: dongiovanni (e dongiovanne)
cerebrali, perversi, infanti, vetusti,
malinconici, faustiani, demonici, attoniti,
passivi, solari, chic, perfino
innamorati…
Dopo
tanto, da Molière a Lubitsch, da
Sade a Carmelo Bene, ancora una volta non si sa
se tutto sia stato scritto, o se resti qualcosa
alla nostra “follia” (che per Don
Giovanni è una danza!) .