“Era una donna, adesso non è nulla”
(Balzac,
La duchesse de Langlais)
Malraux
aveva capito tutto: ”Valmont vuole andare a letto
con la marchesa, che non vuole più andare a letto
con lui; vuole andare a letto
con la Tourvel, che non vuole. Va a letto
con Cécile che vorrebbe andare a letto
con Danceny. Quando la marchesa va a letto
con Prévan, è ossessionata dall’idea di farlo cacciare. Nel
corso di questa celebre apologia del piacere non una coppia, una
sola volta, entra in un letto
senza avere un’idea per la testa. Questa idea è, quasi sempre, la
costrizione. […] l’originalità sta nel fatto che il mezzo di
costrizione non è più la forza ma la persuasione. La menzogna è
lo strumento più sottile di costrizione: agire su una parte dello
spirito della persona da sedurre affinché questa domini la persona
intera. Il lettore senta la costrizione con più forza poiché è
nel segreto, e quando Cécile o Mme de Tourvel si credono libere,
lui le sente prigioniere perché sa che sono state giocate.”
Ecco:
la Persuasione, la Costrizione, la Crudeltà fredda, un
dongiovannismo “come un’arte e una scienza, che ha le sue regole
nella tattica e nell’attacco”; non è un caso, allora, che il giacubbino
Laclos, artigliere maestro di balistica, inventore dell’obice,
fosse proprio un “militare” di stanza presso l’isola di Ré
(Che noia! Che noia! certo però, ammalarsi di dissenteria! Si
potrebbe zufolare malandrini e arbasini: “morire a Taranto fu un
errore/ lo fece per amore della sua Guarnigione…”)
Nelle
Liasons il vero Don Giovanni non è Valmont, per quanto Baudelaire
riconoscesse nelle sue fattezze il profilo francese di Lovelace; è
piuttosto la marchesa di Merteuil, crudele “Eva satanica”,
grande architetto del Mondo specchiato nell’intrigo della
Galanteria. È lei che “consiglia Valmont, lo tratta da idiota,
con ragione, se egli osa consigliarla” (Malraux). E l’arte sua
della Seduzione è talmente sottile, ventaglio affilato, da poter
prescindere dalla Bellezza stessa; del suo viso, infatti, della
freschezza sua mitica, la stessa che tutti assicurano stupefacente,
del suo volto melusino nessuno
mai potrà, saprà, avrà necessità di descrivere
i tratti.
Ma
allora è vero! Risulta veritiero il principio secondo cui “il
trucco è l’anima”, se poi in questi
lacci perigliosissimi delle Liasons tutto ruota sempre
attorno a questo Viso di cipria!
Ecco,
allora, il racconto della adolescenza silenziosa della marchesa
“in cui, senza amici e senza maestri, [ella] si provoca
volontariamente del dolore per cercare in quell’istante
l’espressione della gioia”; e ancora,
il finale del romanzo, là dove il Volto assume il valore di
emblema, medaglione dell’anima, e la macchia del vizio si
manifesta allora in un devastante vaiolo, angelo necessario della
Morale. (un po’ come
in un’insuperata lettura di Otello: Jago diventa ciò che Otello
è, si fa cioè Moro, il vizio stravolgendolo lo colora di
colpa.)
E
pensare che Laclos, proprio sul tema della seduzione, aveva avuto
parole di un equilibrio roussoviano, in quel breve saggio
“edificante” preparato per un concorso dell’Accademia di Châlons-sur-Marne:
Quali potrebbero essere i mezzi più adatti a perfezionare
l’educazione delle donne - Dell’Educazione delle donne.
Che diabolico sdoppiamento di personalità!
Ma
in fondo, come sempre aveva ragione Praz, gran lettore di Sade:
“se la virtù non conduce alla felicità, almeno si salvino le
apparenze punendo alla fine il vizio già trionfante”.
Almeno
salviamo le apparenze. Il trucco è tutto.