DON
GIOVANNI: E tuttavia, Sganarello, bisogna
pensare a cambiar vita.
SGANARELLO:
Eh sì.
DON
GIOVANNI: Sì, è proprio vero: bisogna cambiar vita! Ancora
venti o trent’anni così, ma poi bisognerà pensarci
seriamente!
(Molière,
Don Giovanni, IV, 7).
12
febbraio 1677: per desiderio della vedova, Armande Béjart,
viene rimesso in scena il Dom
Juan di Molière, morto quattro anni prima.
Non
si tratta di una scelta semplice: pare che Molière stesso non
fosse soddisfatto della pièce ed è un fatto che non l’abbia
voluta nell’edizione delle sue opere: per timore della censura o
anche perché era convinto di non aver scritto un buon dramma?
Scrivono
gli storici che la fretta di metter su una nuova pièce sia stata
dovuta alla censura subita dal Tartufo,
che, a differenza del Don
Giovanni, Molière avrebbe difeso come un leone!
Armande
Béjart chiede all’illustre Thomas Corneille di rimaneggiare il
testo: di metterlo in versi e di liberarlo delle situazioni più
scandalose: sarà come azzannare un pomo già quasi ridotto al
torsolo: già Molière aveva provveduto subito (subito dopo la
prima!) a tagliare la scena più drastica e affascinante: quella
in cui il Dissoluto cerca di comprare una bestemmia da un povero
devoto, e, oltre questo, i tagli per autocensura furono decine, a
cui vanno aggiunti una cinquantina di mutilazioni ulteriori
pretese dalla censura reale…
Il
trattamento finale di Corneille fece perfino sparire Don Giovanni
dal titolo, che fu semplicemente Le
festin de Pierre: titolo assurdo che, alla lettera, andrebbe
tradotto “Il convito di Pietra”, o addirittura “Il Convito
di Pietro”… quando di pietra, lo sa tutto il mondo, era il
convitato!
(Da
Molière, Da Ponte e Mozart prendono cent’anni dopo una miriade
di situazioni e battute. Ma soprattutto Donna Elvira, innamorata
inconsolabile che Don Giovanni rapisce da un convento
promettendole falsamente di sposarla).