Pieno
di “dongiovannismi”, naturalmente, Nietzsche.
E
talmente trancianti e definitivi che sarà difficile trovare, dopo
di lui, dei dongiovanni che non lo saccheggino, anche se per lo più
volgarmente: forse solo il paradossale "Dio
e i suoi doni"
della Compton-Burnett e
l'adorabile Dom Amiche del "Cielo
può attendere"
di Lubitsch sono indenni dal
seduttore ridotto a “superuomo”.
Ecco,
nella Gaia Scienza,
cosa si legge in "Quante
cose non son chiamate amore!"
“Poco
per volta prendiamo in fastidio ciò che è vecchio, posseduto in
tutta sicurezza, e torniamo a tendere di nuovo le mani; perfino il
più bel paesaggio dove vivemmo per tre mesi, non è più certo del
nostro amore e un qualche lido lontano attira la nostra cupidigia:
il possesso viene per lo più diminuito dal possedere. Il piacere di
noi stessi vuole mantenersi in vita, trasformando sempre ogni volta in
noi stessi qualcosa di nuovo: questo appunto significa
possedere. Essere sazi di un possesso vuol dire essere sazi di noi
stessi...”