Cristina
Campo era ancora Vittoria Guerrini quando tradusse in musica la grazia
modesta di Mörike.
Eduard M. un omino che “prediligeva Mozart quando l’Europa era di
Beethoven, giocava coi bambini, parlava con gli alberi, e faceva
dell’amicizia una religione.” E il Mozart del Reise insegna
proprio questo all’intellettuale frustrato: si può guarire, sì! si
può guarire dal male di vivere, basta imparare a ridere di tutto (ma
con rispetto, delicatamente).
Questo
“Wolf” è dunque lo stesso dell’ultima sua lettera italiana, là
dove, venato di malinconica accettazione, scriveva ”…la vita era
pur sì bella…”: una chiusa che è pugnale “che trafigge, uscito
dal fodero in virtù di due monosillabi, disposti secondo un ordine
semplice e imperscrutabile” (Campo). E difatti M. fa sussurrare al
suo M. dolente: “Ho mai avuto un’ora intera per essere felice con
i miei bambini? È sempre stata una gioia a metà, per me, sempre en
passant! Prendere i piccoli a cavalcioni sulle ginocchia, correre con
loro per le stanze e poi… basta di nuovo trascinato via!”
Ma
nonostante tutto “la vita era pur sì bella…”
Del
resto, Hölderlin ce l’aveva spiegato:
“poco sapere, ma di gioia molto/ ai mortali è concesso […]
oh fossi piuttosto un fanciullo!/ E come usignoli, in canti
senz’affanno/ la mia gioia cantassi.
Per
anni ci si era abituati a considerare il Prodigio soltanto un semplice
prodigio (Galliani in una lettera alla d’Epinay), eppure Mörike
insisteva: “s’era tentati di credere che altro non fosse in suo
potere, e che quell’essere d’eccezione dovesse seguire regole del
tutto diverse da quelle che, secondo la nostra comprensione, si
addicono e convengono a tutti gli uomini: regole violentemente
impresse in lui per chissà quale via.” Un extravagante insomma,
capace di dedicarsi anima e corpo al sussurro del fiume, “alla rosea
freschezza d’un mattutino sogno”, e al contempo desideroso di
deliziarsi con un polletto croccante sull’erba del Pater.
Un
po’ come l’autore stesso, autentico puer aeternus, poeta in
cilindro e parapioggia, dimenticato, trascurato… e pensare che Herr
Professor Martin Heidegger ai suoi bei tempi non si dava tregua per
comprendere “il senso vero” d’un suo verso! (Ma adesso, chi
legge più Mörike? Forse “qualche svevo di quelli sempre
affaccendati a metter un mattone sull’altro e ai piedi quei vascelli
di scarpe comesichiama, già, “topi d’acqua di Stoccarda”. ) Il
signor Castagnasecca, questo pastore con la papalina sempre in testa,
rapito di tanto in tanto all’eternità greca del suo stupore e
ritratto come in una scena d’interno, figurino in una conversation
piece di quelle che sarebbero piaciute tanto al Professor Praz:
Stimmung e Gemütlichkeit, intimità candore e casalinghitudine: il
Biedermeier apparso in sogno sull’Elicona; un Apollo più alla mano,
disceso finalmente dal podio olimpico, avviluppato in una
giacca da camera, la pipa ingrommata nelle mani… Che
singolare destino! Poeta tra i più lirici, traduttore che sapeva
farsi segno tipografico nelle pause dei versi greci e latini, Mörike
era “tanto avido d’armonia da trascorrere intere giornate tornendo
vasi, incidendo croci” (ne fece una anche per la madre del caro
Schiller, nel cimitero di Stoccarda). In collegio frequentava Hölderlin,
greco come lui, ma privo della sua dolce maniera teocritea; e sempre
così fanciullesco nei suoi entusiasmi, “ebbre le pupille socchiuse
quasi per torpore – solo l’orecchio origlia ancora un ronzio
d’ape”; inguaribilmente aereo nella scrittura, Storm riferisce:
“un’espressione delicata e quasi fanciullesca che pareva
raffigurare l’intimo di quell’uomo era restata ancora intatta
dalle viscere del mondo.”