durante
l’annuale festa di Santa Brigida, ecco, a
quell’ingenuo e semplice Mozart-Pierrot non s’addice forse
questo Salieri di Puškin, “maschera
senza sorriso, demonio sapiente, più nero d’uno scaramuccia”?
Non è un caso – allora - che il regista russo Anatolij Vasziljev abbia più volte scelto di rappresentare l’opera come una
vera e propria Partita a Scacchi, il marmo lucidissimo,
“veneziano” a far da palcoscenico all’universale
dilemma…
Del
resto, quante dicerie si rincorrevano negli autunni di fango e
d’esilio del 1830! E quanti potini orrendi venivano sbocconcellati
qui e là ai ricevimenti di Alessandro I! mille insinuazioni,
elucubrazioni, supposizioni sul rapporto tra Mozart e Salieri; sul
Genio e sul Delitto; sull’impotenza eterna cui è condannato
l’artigiano delle lettera che la Musa decise di non baciare, e che
per questo – dannazione dannazione! - solo può sostituire “agli sprazzi dell’ispirazione l’algebra della ricerca, il preciso
disegno, l’analisi”(Ripellino). Quanta credito si dava alla
“scienza in stiffelius”! “Anni smammolati”, non c’è dubbio;
lunghi “inverni dei nostri rancori”.
Alla
prima del Don Giovanni, mentre i palchetti si godevano il silenzio
incantatore della musica, un
fischio echeggiò nel teatro… ”il
famoso Salieri uscì dalla sala infuriato, roso dall’invidia.”
Puškin
amava Mozart, e molto più dopo aver conosciuto Glinka “che ne era
un acceso fautore e, nel 1827, in casa del conte Kočubej, a
Pietroburgo, aveva addirittura interpretato in abiti femminili e
parrucca, nel don Giovanni, la parte di Donna Anna.”(Ripellino);
ebbene Puškin, anche lui brillante danzatore, per quanto dalla
rendigote senza bottone, e magnifico amateur di impresari, ballerine,
piedini, Puškin sceglie di ammantare l’intera vicenda nello
stiffelio nero di un triste presentimento, e verrebbe voglia di
cantare “…or qual reo
presagio Lo spirito m'assale, Che il rivederti annunzia Quasi un desio
fatale, come se fosse l’utima ora del nostro amor…” come
Riccardo nel ballo in Maschera verdiano.
Quali
toni apocalittici si scorgono, dunque, nelle parole di Salieri: “spesso
nella quiete della mia stanza senza mangiare per giorni, né dormire,
dopo l’estasi e il pianto dell’ispirazione, bruciavo tutto e
indifferente guardavo le idee e i suoni da me creati svanire in lieve
fumo.” È lui
l’artefice dalle rozze mani! Nessun pentimento quindi, a delitto
compiuto, anzi:
“A
che serve egli? Come un cherubino, alcun canto celeste ci ha
trasmesso, per suscitata in noi brama senz’ali, Figliuoli della polvere, involarsi! Dunque
involati! Quanto prima, meglio.”