A
proposito del “No!” di Don Giovanni e della Musica
LA STATUA
Pentiti, cangia
vita
È l'ultimo
momento!
DON GIOVANNI:
No, no, ch'io non
mi pento,
Vanne lontan da
me!
Certo
però che, in questo numero dedicato all’amateur par excellance,
non può sfuggirci che il nostro Don Giovanni sceglie, e
certo non un pentimento che secondo il buon Kierkegaard dovrebbe
farlo ascendere alla sua più intima essenza di uomo morale. Egli,
anzi, di fronte allo spalancarsi dei fuochi infernali, sceglie, sì,
ma ancora quel “se stesso” disperso in sensuali piaceri, quella
forza vitale incantata dai colori del mondo.
Che
cosa succede, allora, in quel suo “No!”?
Succede
che Don Giovanni afferma, come sempre e in barba anche alla fine del
futuro, l’uomo che è stato: il cacciatore di istanti di voluttà,
l’amatore di forme conturbanti. Questo “amarsi”, questo far
cadere nella rete del proprio amore ogni femmina a portata
(Kierkegaard lo riconosce) è una forza non contenibile in seduzioni
fatte di parole, ma è musica, che è “il demoniaco”, che nel
demoniaco ha il suo “oggetto assoluto”. Raccontando Don
Giovanni, le parole della filosofia come della letteratura restano
fuori dalla sua forza, come le lagne di Don Ottavio o di Donna
Elvira dal suo divertimento:
“Quando
invece egli è concepito in musica, non ho più un singolo
individuo, ma la potenza naturale, demoniaca, che non si stanca mai,
che non ha mai finito di sedurre, come il vento non si stanca mai di
soffiare, il mare di cullarsi o le cascate di precipitarsi
dall’alto” (S. KIERKEGAARD, Don Giovanni).