“E’ una superstizione credere
che sia
qualcosa che viene dal di fuori ciò
che può rendere felice un uomo.”
(Aut-Aut)
Fermi
tutti! Interrompete le folli corse, riposate le voglie e
ritemprate le energie: un padre di famiglia ha da parlare! - Sì, sì,
proprio a noi affaccendati in mille guise ed infiniti entusiasmi,
a noi malinconici, a noi dongiovanni, a noi pluristimolati
abitanti della Vita, si rivolge questa lettera di Sören
Kierkegaard del 1843. Il suo titolo ci mette già nell’angolo: Aut-Aut!
Contro
Hegel, qui il “padre” pone febbrile attenzione al momento
della scelta individuale. - Scelta come occasione, colpo di dadi
che dispiega il futuro, il “kairòs” dei Greci: è il punto in
cui si coagulano le energie in movimento, è l’istante elettivo
in cui l’uomo “sceglie se stesso, anzi riceve se stesso”!
All’opposto
di tutto ciò, c’è “l’estetica, che è l’indifferenza”.
L’estetica
nell’uomo è infatti ciò per cui “egli è spontaneamente
quello che è”. Tutti noi siamo estetici: nel nostro spontaneo
relazionarci con il mondo, siamo distratti da noi stessi, in preda
alle nostre smanie e alle nostre ambizioni che proiettano beni e
felicità al di fuori di noi, quando “è una superstizione
credere che sia qualcosa che viene dal di fuori ciò che può
rendere felice un uomo.”
Vi
è una parte della nostra esistenza indissolubilmente legata al
mondo e soprattutto stretta a un giogo di forze e di necessità,
ma vi è anche un luogo in noi determinato dalla libertà di porre
una scelta, scelta che dischiude lo spazio dell’etica:
“Perfino l’individuo più meschino ha in questo mondo una
duplice esistenza. Anch’egli ha una storia e questa non è
soltanto il prodotto delle sue libere azioni. L’azione interna
invece gli appartiene e gli apparterrà per tutta l’eternità;
questa non gli può essere tolta né dalla sua storia né da
quella del mondo; essa lo segue per la sua gioia e per il suo
dolore.”
Non
si tratta ancora di scegliere tra questo o quello, tra il bene e il male,
ma di sottoporsi con coscienza al dilemma tra bene e male.
Mai abbandonarsi al lassaiz-faire, al lassaiz-aller,
a una indifferenza che si esprime in formule come “una scelta
vale l’altra”. Perché,
in verità, la vita estetica fugge da se stessa, rincorre nuovi
istanti per sfuggire al proprio vuoto, vuoto in cui prima o poi
cadrà: allora sarà l’angoscia della mancanza di senso che si
rivelerà a se stessa. - Eppure proprio questa disperazione, questa
disperazione assoluta di noi stessi è il passaggio
obbligato per giungere a una autentica conquista di sé: questo è
il “salto” per non svanire, per non svaporare nel molteplice
del relativo:
“…ora
si tratta di sapere se l’uomo è capace, per prendere
un’immagine dal mondo dei fiori, di secernere con le sue proprie
forze, come l’oleandro, una goccia che possa sussistere come
frutto della sua vita.”
(“L’io
e la libertà”, dal Diario)