La mancanza di denaro è talmente il mistero
della mia vita
che persino quando non ne ho ha l’aria di
diminuire.
(L.Bloy)
“la regola del Nostro Ordine ci vieta di fare
l’elemosina
(Un padre dell’Assunzione)
Al
solito è il Professor Macchia, gran fiutatore di marocchini
raffinatissimi, a scoprire la “fonte” che mancava; ci
suggerisce infatti di sfogliare lo scenario dell’Ateista
fulminato, lì è l’origine
dell’incontro tra il Dom Juan di Molière e il povero,
scena da autentico teatro della crudeltà, effetti stridenti,
degradazione, impronta sadiana in filigrana: il libertino ateo e
gaudente, per cui non esiste che materia e senso, antenato della
charmante societé dei pirroniani secenteschi per cui “il n’y
avait de bon dans l’amour que le physique”, ebbene un simile
“corruttore” offre al “romito” per di più credente,
all’elemosiniere roso dalla fame, offre del denaro, ma “sub
condizione: sotto la condizione che commetta un atto contrario
alla sua religione, bestemmiare, per esempio”.
Ecco
qui: vibrando s’incunea l’unico possibile credo che ormai
attecchisca sul cammino desolato di Dom Juan,
il ribaltamento sadiano del principio “Tutto è bene,
tutto è opera di Dio”, ovvero: “io mi dico: sì, esiste un
dio, una mano ha creato quel che vedo, ma per il Male […] il
Male è la sua essenza; tutto quanto ella ci induce a commettere
è indispensabile per i suoi piani… Ciò che io chiamo Male è
in realtà un gran bene per l’essere che mi ha messo al mondo…
il Male è necessario all’organizzazione viziosa del triste
universo” (Sade in Juliette).
Per
Dom Juan è una questione di stile: a Dio credono solo gli
imbecilli e i poveri, sicché quale delizia intrappolare il romito
nella ragnatela delle sue stesse contraddizioni!
“Il
raziocinare sadico è sofistico”
spiegava Zolla,
e la scena di Molière non è eccessivamente azzardato accostarla
ai livelli di “universale corruzione” descritti nel Dialogo di
un prete e un moribondo sadiano.
(il moribondo suonò. Le donne entrarono e il predicatore
divenne tra le loro braccia un uomo corrotto dalla natura, per non
aver saputo spiegare quel che fosse la natura corrotta).
La
tenera fiamma della legge morale interiore si scontra, allora, con
l’universo dell’Utilità dominatrice. Il mendico assicura di
pregare, sì sì, di pregare tutto il giorno, e da dieci anni;
sempre, costantemente “per la prosperità di tutti coloro che mi
offrano qualcosa”; vive ormai in isolamento ritirato nei boschi
come il waldgänger di Jünger, dedito unicamente alla preghiera,
eppure… eppure egli rimane sempre schiavo della scarna esistenza
di affamato…
Dom
Juan: “tu ti sbagli: un uomo che preghi il cielo tutto il giorno
non può assolutamente ritrovarsi in difficoltà”; ed ecco che
si fa largo la proposta satanica: un luigi d’oro se bestemmi;
anche Sganarello, per l’occasione serpentesco, sibila: “su,
su, giura dai, c’è nulla di male”…
Ma
il povero alla fine rifiuta: “preferirei morir di fame”. Che
delusione.
Aveva
ragione da vendere Léon Bloy, nel Sangue del Povero: “L’uomo
è posto così vicino a Dio che la parola povero è un espressione
di tenerezza. Quando il cuore si spezza di compassione o
d’amore, quando non si riesce quasi più a trattenere le
lacrime. È questa la parola che sale alle labbra”.
(Dom
Juan regalerà comunque il luigi, ma solo per amore “de
l’humanité”, non certo per carità cristiana.)