"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4, aprile 2003


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

 

Per Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e W. A. Mozart:

 


 

13. Sade (carità di)

 

 

 

 

La mancanza di denaro è talmente il mistero della mia vita 

che persino quando non ne ho ha l’aria di diminuire. 

(L.Bloy)

 

                                                                        “la regola del Nostro Ordine ci vieta di fare l’elemosina

                                                                                      (Un padre dell’Assunzione) 

 

Al solito è il Professor Macchia, gran fiutatore di marocchini raffinatissimi, a scoprire la “fonte” che mancava; ci suggerisce infatti di sfogliare lo scenario dell’Ateista fulminato, lì è l’origine  dell’incontro tra il Dom Juan di Molière e il povero, scena da autentico teatro della crudeltà, effetti stridenti, degradazione, impronta sadiana in filigrana: il libertino ateo e gaudente, per cui non esiste che materia e senso, antenato della charmante societé dei pirroniani secenteschi per cui “il n’y avait de bon dans l’amour que le physique”, ebbene un simile “corruttore” offre al “romito” per di più credente, all’elemosiniere roso dalla fame, offre del denaro, ma “sub condizione: sotto la condizione che commetta un atto contrario alla sua religione, bestemmiare, per esempio”.

Ecco qui: vibrando s’incunea l’unico possibile credo che ormai attecchisca sul cammino desolato di Dom Juan,  il ribaltamento sadiano del principio “Tutto è bene, tutto è opera di Dio”, ovvero: “io mi dico: sì, esiste un dio, una mano ha creato quel che vedo, ma per il Male […] il Male è la sua essenza; tutto quanto ella ci induce a commettere è indispensabile per i suoi piani… Ciò che io chiamo Male è in realtà un gran bene per l’essere che mi ha messo al mondo… il Male è necessario all’organizzazione viziosa del triste universo” (Sade in Juliette).

 

Per Dom Juan è una questione di stile: a Dio credono solo gli imbecilli e i poveri, sicché quale delizia intrappolare il romito nella ragnatela delle sue stesse contraddizioni! 

“Il raziocinare sadico è sofistico”  spiegava  Zolla, e la scena di Molière non è eccessivamente azzardato accostarla ai livelli di “universale corruzione” descritti nel Dialogo di un prete e un moribondo sadiano.  (il moribondo suonò. Le donne entrarono e il predicatore divenne tra le loro braccia un uomo corrotto dalla natura, per non aver saputo spiegare quel che fosse la natura corrotta).

La tenera fiamma della legge morale interiore si scontra, allora, con l’universo dell’Utilità dominatrice. Il mendico assicura di pregare, sì sì, di pregare tutto il giorno, e da dieci anni; sempre, costantemente “per la prosperità di tutti coloro che mi offrano qualcosa”; vive ormai in isolamento ritirato nei boschi come il waldgänger di Jünger, dedito unicamente alla preghiera, eppure… eppure egli rimane sempre schiavo della scarna esistenza di affamato… 

Dom Juan: “tu ti sbagli: un uomo che preghi il cielo tutto il giorno non può assolutamente ritrovarsi in difficoltà”; ed ecco che si fa largo la proposta satanica: un luigi d’oro se bestemmi; anche Sganarello, per l’occasione serpentesco, sibila: “su, su, giura dai, c’è nulla di male”…

Ma il povero alla fine rifiuta: “preferirei morir di fame”. Che delusione.

Aveva ragione da vendere Léon Bloy, nel Sangue del Povero: “L’uomo è posto così vicino a Dio che la parola povero è un espressione di tenerezza. Quando il cuore si spezza di compassione o d’amore, quando non si riesce quasi più a trattenere le lacrime. È questa la parola che sale alle labbra”. 

 

(Dom Juan regalerà comunque il luigi, ma solo per amore “de l’humanité”, non certo per carità cristiana.)

 


 

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