I
diari di Bulgakov, hanno, dati quei tempi, una storia ovvia e
triste: nel 1926 (l’anno prima gli
era stato sequestrata già Diavoleide)
la sua casa viene perquisita dalla OGPU
(Direzione Statale Politica Unificata: insomma, la Lubjanka)
con tanto di spilloni dentro poltrone e materassi per trovare
compromettenti cartacce. Gli sequestrano dunque diari e manoscritti. I
diari raccontavano gli anni dal 1921 al 1925. Li richiese
insistentemente, ma solo nel 1929, e
grazie a Gorkij,
Bulgakov li riebbe. E subito li distrusse.
La
perquisizione della Lubjanka fu l’inizio di guai senza fine.
Nonostante il dramma I giorni di Turbin fosse piaciuto a Stalin al punto da portarlo a
teatro addirittura quindici volte, bulgakovščina
(“bulgakovismo”) è una parolaccia da abiura. Dal 1927,
non gli pubblicano neppure un articolo (in quindici anni, ne aveva
scritti 320). E niente più arriverà a teatro, compresi I
giorni di Turbin. - Nel 1929
in un articolaccio sull’ “Izvestija” (Notizie)
il critico teatrale R.
Pikel’ raccontò il piacere di aver visto del tutto
scomparire le opere di Bulgakov da tutti i teatri possibili. Del resto,
Bulgakov gira ormai con una pistola ed è a un passo dal suicidio.
Vedi
però i casi, la solerzia di Pikel’ non lo salvò dalla mattanza delle
purghe: dopo torture e false confessioni, venne fucilato.
Bulgakov
disperato scrisse invece (28 marzo 1930)
la famosa lettera ai dirigenti dell’URSS. E, incredibilissima cosa,
ricevette - non solo un Kafka non l’avrebbe mai immaginato - la
celebre telefonata di Stalin (18 aprile).
- Et voilà: subito dopo
Bulgakov fu assunto al Teatro d’Arte come aiuto-regista.
Un
fatto che può spiegare la telefonata di Stalin è che, pochissimi
giorni prima della lettera in cui Bulgakov chiede di essere almeno
lasciato libero di andarsene da un Paese che odia quanto scrive, Majakovskij
si è sparato (14 marzo 1930) nel
suo studio al passaggio Lubjanskij: nei tre giorni seguenti,
centocinquantamila moscoviti si erano messi in fila per rendere omaggio
al poeta. Per il buon aspetto del regime, non era evidentemente il caso
che quel colpo di pistola inaugurasse un’epidemia
di artisti così platealmente morti.
In
ogni caso, da quella telefonata, per il resto dei suoi giorni Bulgakov
ricavò l’illusione di un qualche diretto e sacro rapporto tra lui e
il tiranno: un po’ come tra Molière e Luigi XIV. L’atrocemente
gattesco Stalin si divertì invece a censurare la pièce
encomiastica che Bulgakov scrisse sulla sua provvida giovinezza di buon
tiranno (Batum)
a un istante dalla messinscena.
Perché?
“Perché
Stalin è ormai soddisfatto: è riuscito a piegare Bulgakov, quell’uomo
indocile e superbo ha scritto di lui”
(M.
Čukadoka, Introduzione a M. BULGAKOV,
Romanzi e racconti)? Perché la pièce
inventava gesta romantiche senza essere neppure abbastanza “retorica
e celebrativa”
(M.
A. Curletto, Introduzione a M. BULGAKOV,
Lettere a Stalin)?
Questo
accadde nel 1939 (Bulgakov muore
il 10 marzo del 1940). Intanto
Bulgakov aveava scritto, tra un capitolo e l'altro del Maestro
e Margherita, più volte
a Stalin, ma senza più risposta.
Come
si sa, di questo bruciatore di diari e manoscritti (come Gogol
con la seconda parte delle Anime morte,
Bulgakov gettò nella stufa la prima versione del Maestro
e Margherita!) massacrato fino alla fine dalla censura,
la frase più famosa dice “I manoscritti non bruciano”.