"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9, dicembre 2004

 


                    Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 

 

6.  Lettore, editore, semblables

 

 

 


 

Céline

 

 

“Non ha ancora finito? Céline, lei mi 

deve milioni!... non lo dimentichi!” 

(F. CÉLINE, Nord) 

 

Sul lettore, il graffio di veleno definitivo l’incise Baudelaire alla fine del primo dei Fiori del male, atroce sberleffo dedicatorio al simile-fratello-ipocrita, il quale dall’altra parte dello specchio sta in silenzio a compitare alessandrini sul Diavolo che gli abiterebbe i budelli. Magari invece leggiucchia con la tivù accesa e sgranocchiando cipster, coinvolto dal dandy libertino come un re da un giullare quel giorno non troppo in vena.

 

Céline dell’insulto baudelairiano si ricorda in Nord (1960), dove non c’è più la relazione sadica (ma ancora intima e oseremo dire salottiera) che il fantomatico lettore dei Fiori ha con il libro, ma  una baraonda ospedaliera, e un carnaio da fiera: l’autore è al centro dell’assalto di lettori, imponderabilmente plurali, esigenti e già stufi, padroni soprattutto del soldo, della scelta del comprare o meno il libro faticosamente scritto... Viene in mente anche Sterne, che però è ironico e amabile, e più disposto a subire lo sberleffo che viene allattore dalla platea necessaria:

 

 “...venda i suoi rancori e stia zitto”!... caspita, ci sto!... mi piacerebbe, ma a chi?... i compratori mi fanno il grugno, pare... gli piacciono e comprano solo che gli autori fatti quasi come loro, con giusto in più il piccolo bordo a colore... caporuffiano, caponettaculo, leccacoso, evasioni, acquasantiere, pali, bidè, ghigliottine, imballi... che il lettore ci si ritrovi, si senta simile, fratello, molto comprensivo, pronto a tutto...” (F. CÉLINE, Nord

 

Messi così tutti insieme, i lettori fanno mica un idillio casto e confortevole come nel Se una notte d’inverno di Calvino: sono massa, pubblico, clientela: bulimici e avari compratori di merce, che alla fin fine poi è sempre la stessa: consolazione e dimenticanza. Mica diversi, di come sono quando s’assiepano, da pazienti, nella sala d’attesa d’un medico, sempre più stremato dal loro bisogno di balle, dalla richiesta arrogante di almeno una teatrale efficienza, di placebi retorici e carismatico glamour, di rassicurazioni apotropaiche, di ridicole trappole taumaturgiche...

 

L’editore, che la merce céliniana vende, e che cerca sempre l’affare, è costretto a pensare che il cliente abbia sempre ragione. Questione mica di estetica, ma di vita o di morte:

 

Soprattutto niente filosofia! niente chiose intelligenti! attento! ne ho piene le cantine!... ci sbatto nella senna!... dei capannoni pieni, convogli di zattere, tonnellate a migliaia di “fini annotazioni”! a proposito di tutto! in manoscritto e a stampa, intelligentissime! perfino sadiche, sferzanti, al sangue! specie insipide, Céline!.... il suo “non-ha-più-l’età” mi ha fatto piacere, ma i miei “invenduti” ci pensa lei?... Sisifo a tirar su sta mercanzia, farle passare la cresta atroce, che ruzzoli schiacci i lettori, sti mostri ruttanti, mi ricada mica ancora sul gobbo! (Ib.)

 

Siamo alla pantomima: scrittore-editore come servo e padrone (lo stesso gioco nel Manganelli postumo dell’Encomio del tiranno) che fa di un contratto, nel caso di Céline accuratamente ponderato (sui rapporti di Céline con Denoël e poi con Gallimard, vedi Ph. Alméras nel suo Céline), una catastrofe eroicomica. 

E l’essenziale è proprio in questo: l’editore, quest’uomo reso paradossale “da tutto quello che legge, che si crede in dovere di leggere”, di quei lettori tanto bisognosi di coccole aulenti, è il sicario necessario. Da qui una guerra infinita:

 

 Me ne strasbatto di cosa possa pensare l’editore dei miei libri - non è neppure questione di chiedere il suo parere - Non può che avere del cattivo gusto - altrimenti non farebbe questo mestiere a metà tra il droghiere e il magnaccia. 

(...)

“Ma lì si ferma la competenza degli editori: nell’estrema mediocrità, per la buona ragione che un essere umano non può esorbitare dalla propria area psichica... tutto quello che va oltre, lo detesta... come la scimmia che tende a massacrare tutto ciò che non capisce... immediatamente! Così il critico e così l’editore - Quel che vuole il coglione è uno specchio per la sua anima di coglione dove possa ammirarsi...Donde il cinema e i romanzi a tiratura infinita, “specchi d’anima per il più gran numero possibile di coglioni.

(F. CÉLINE, Lettere dall’esilio. Lettere a Milton Hindus, 1947-49)

 


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