Benn
Quanto
al mio metodo di scrittura, per esempio, è facile constatare che si
tratta di infantilismo prismatico. In ciascuno risveglia di sicuro il
ricordo dei giochi dell’infanzia, andavamo in giro con gli
specchietti ad acchiappare il sole e a far la gibigiana ai bottegai
che se ne stavano sui loro usci dall’altra parte della strada, ciò
suscitava irritazione e astio, noi però ci tenevamo nell’ombra.
Quel che mettevamo a fuoco, naturalmente, era soltanto pelle, stucco,
chiazze, macchie epatiche dell’esteriorità, verruche sull’Olimpo
dell’apparenza, nulla di sostanziale - ragione per cui, davanti a
chi legge di preferenza romanzi storici e vede dispiegarsi al suo
cospetto epoche intere della civiltà, sono disposto a congiungere le
mani e augurargli che tanti figli maschi possano accendergli
l’incenso, ammannirgli minestra di nidi di rondine con bêche de mer
e uova di tartaruga e giocare tutti insieme al fan-tan o al mah-jong
che gli piace, felici e contenti sino alla fine dei loro giorni.
(G. BENN, Romanzo del fenotipo, 143)