Bulgakov
“come la tuba di Virgilio suona”
(L. Ariosto, Orlando furioso, XXXV, xxvi, 2)
Il
verso del Furioso è messo qui perché
anticipa, profeticissimo, tutta
la storia essenziale di Bulgakov.
Ariosto,
infatti, fa dar per certo, addirittura a Giovanni
Evangelista l'apocalittico, che i poeti son più potenti dei
potenti. Solo i virtuosi dell’endecasillabo e del madrigale possono
infatti affatturare trucchi buoni per gabbare la morte e l’oblio: più
forte della cacofonia del cosmo, prima della tromba del giudizio suonerà
solo la tuba di Virgilio! - Vecchio discorso, in realtà, con cui i
poeti provan da sempre a piazzarsi a corte, marketing
che qui è ìlare, e che qualcuno in delirio d’onnipotenza romantica
(un Foscolo?) avrebbe in seguito
preso un po’ troppo sul serio.
Comunque
sia: è un fatto che con Ariosto la morale dell’evangelista del Logos
è al limite del truffaldino e dell’iperbole cialtronesca. - Altro che
Nietzsche
e Derrida:
in tutta la prima parte di quel XXXV canto,
Giovanni dice al serafico Astolfo che c’è poco da fare: che alla
lunga, più in là del celere sfarsi delle cose nel tritatutto del
tempo, sopravvive solo la calunnia detta meglio!
Bravo
Ariosto, ma sfrutta anche lui l’adagio da tabloid secondo cui niente
è più inedito dell’edito: perfino Aristotele
infatti già lo diceva che di una cosa sopravviverà solo la favola!
Anche se, certo, una cosa è restare così filosoficamente sulle
generali, un’altra è farci sapere, tanto per non far nomi, che Penelope
era una puttana e che giusto l’immenso Omero
poteva mettere a posto le cose.
Come
dunque s’intuisce, la merce del tipo Bella Calunnia è roba che non
s’improvvisa: reperibile appena presso professionisti sopraffini, più
rari dei nostradamus dei presidenti d’America e dei neurochirurghi
delle amebe!
Tra
Putin e Pisolo, Pugaciov e Putifarre,
l’Alzheimer universale fa e disfa i suoi poveri puzzle tenendo per
base un lurido Lete;
resta come solo fatto ragionevolmente acquisito - vox
libri! - che il Diavolo sia stato almeno negli anni
Trenta a Mosca. - Ecco: quante divisioni (o erano corazzate?) aveva il
manoscritto? Meno del papa, pare, eppure.
Veniamo
così al dunque.
Come
i suoi lettori sanno, l’essenziale della storia del Maestro e
Margherita è dentro
il romanzo, la cui stupefacente scoperta - roba da fisica dei fotoni -
è che, soprattutto se bruciano, i manoscritti non
bruciano. Proprio la storia del libro di Bulgakov fuori
del libro potrebbe esserne una conferma così eclatante da suonar buona
perfino per quelle trasmissioni misteriche, tra fumi di fanta-medium e
fiati di finti morti, che piacciono a tutte le tivù.
Ecco
il canovaccio: nella primavera del 1939
Bulgakov, già malato, legge a pochi intimi i capitoli di quel suo libro
imprevedibile: “ricordo i volti degli ascoltatori, l’espressione dei
loro occhi, e una nettissima sensazione: la voglia di saltar su, di
lanciarsi verso chissà dove, di raggiungere qualcosa, di convincersi di
qualcosa…” (così il drammaturgo Aleksej
Fajko, testimone del fatto).
Bulgakov
muore l’anno dopo. Per un
quarto di secolo, esistette solo la copia della vedova (“un
dattiloscritto con più strati di correzioni autografe”); tra i
pochissimi che l’ebbero in prestito
ci fu Anna Achmatova.
Negli
anni Sessanta, la diffusione della storia del diavolo che scompagina
Mosca fu un caso classico di samizdat,
staffetta tra copisti in cui ci siamo imbattuti già parlando di
Brodskij.