"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9 dicembre 2004

 


 

Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 

4.  “Una folla!”

 

 

 


 

Volevano un letto o la morte!

(F. CÉLINE, Guignol’s Band I)

 

E’ chiaro che per Céline, che racconta l’ospedale di Leningrado, vale quanto Nikolaj Leskov disse proprio della Corsia n. 6 di Čechov: “è la Russia!” 

 

Così, almeno quando si tratta di ospedali, sia con il francese stilisticamente ipertrofico che con il russo celatissimo, dal punto di vista del critico abbiamo due casi di più o meno sarcastico e barocco “realismo”: data, infatti, una realtà abnorme, i due stanno ben attenti a non inventare niente, e giurano di dire le cose come stanno. - A favore di questidea, è il fatto che sarebbe indiscutibilmente facile montare collages in cui anche l’esperto potrebbe imbarazzarsi nel gioco del chi dei due - per carità - pur diversissimi autori abbia scritto una cosa e chi laltra.

Usciamo però dal caso teratologico della Russia sovietica! Tanto più che in tempi di fariseissimo dovere al bipartisan, sarebbe male mortale tralasciare il controcanto d’un ospedale, atroce a sua volta, della patria del Liberalismo e della Democrazia! 

Il London Hospital in Guignol’s Band I (1944) è un brulicante e verminoso quadro di Bruegel o di Bosch (paragoni scappati spesso parlando di Céline). - Rispetto a Leningrado, però, il disastro non è tanto nella struttura, più obsoleta che assurda, quanto nella miseria inguaribile d’una massa abnorme, querula e tenace, di disgraziati, a ogni cosa disposti pur di ottenere un ricovero. Al London, infatti, godrebbero di vitto e alloggio, benché miserrimi, di lusso rispetto alle stamberghe gelide che hanno per casa.

Senza contare i bambini che frignavano dappertutto a più non posso... per il biberon, per i giocattoli... nella sala d’attesa non si sentiva che la loro pertosse... cacche dovunque sulle sedie... 

(F. CÉLINE, Guignol’s Band I)

Pur di essere ricoverati, queste folle di poveracci chapliniani sopportano “code di ore e ore!... Là che tiravano gli ultimi a furia di sborrare catarro e lamentele! Io ho sempre visto mandar gente indietro. Dentro faceva molto caldo, a partire da ottobre si capisce, un forno. I malnutriti hanno sempre freddo. Il carbone lassù non è caro, lo usano per tutto...”  (ib.) - Ecco allora descrizioni che Céline mette lì mica per fare il lagrimevole dickensiano, ma da comico apocalittico, ché la gente in fila non vale più del disastro in cui corre a rifugiarsi: 

In fin dei conti erano tutti dei cannibali... tutto questo nella coda dei “ricoverandi”... faceva un miscuglio di urlacci, uragano di risate formidabili... insieme alle massaie cockney e gli ubriaconi del posto, i mendicanti, le cirrosi da whisky, le pustole, le teste rotte, le gastralgie, quelli con le lombaggini piegati in due che gridano per qualsiasi cosa, quelli con le albumine, con le loro bottigliette, i lagnosi sofistici, gli anti-tutto, le salme ambulanti, i piccoli pensionati, le asme che ti strangolano, tutta ’sta roba impacchettata assieme, stipata, gli uni sugli altri... ammucchiati contro la porta... (ib.)

 

Come si vede, ci si scatena nell’arte suprema, antica come la scrittura, dell’enumerazione. - Quanto all’ospedale, impossibile che funzioni: tanto più che si tratta di un luogo che vive con le elemosine dei ricchi, che però “lasciavano a desiderare... C’era scritto su tutte le porte che ce n’era bisogno, e mica mezzi termini... in termini di supplica!”; però “i filantropi non avevano fretta” e di “donazioni ne venivano mica tante, c’era solo la miseria che veniva in abbondanza. Una folla! (ib.).

 


 

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