"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9 dicembre 2004

 

 

Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura


 

 

15. Dio e il bene della fede 

 

 

 


 

La “Fede” è una bella invenzione

quando i Signori possono vedere – 

ma i Microscopi sono più prudenti

in un’Emergenza.

(E. DICKINSON, 185)

 

“Da ultimo, con grande scandalo del parroco,

avevano adottato la recente moda d’introdurre

il termometro nei deretani.”

(G. FLAUBERT, Bouvard e Pécuchet)

 

“Io credo in Koch e nelle spermine e lodo il Signore.” (A. Čechov, Lettera a Aleksèj S. Suvòrin, 24 dicembre 1890). Questo tanto per dire, perché in realtà il dottor Čechov era ateo: da qui tutte le possibili differenze da quel dio in terra che fu Tolstoj!

In clinica è venuto a trovarmi Lev Nikolàevič, col quale ho avuto un’interessantissima conversazione. Interessantissima per me, perché ho ascoltato più che parlato. S’è parlato dell’immortalità. Egli ammette l’immortalità nel senso di Kant; pensa che tutti noi (uomini e animali) vivremo in un principio (ragione, amore), l’essenza e il fine del quale costituisce per noi un mistero. A me questo principio o forza si presenta sotto l’aspetto d’una informe massa gelatinosa, il mio io – la mia individualità, la mia coscienza – si fondono con questa massa. D’una simile immortalità non so che farmene, non la capisco, e Lev Nikolàevič era sorpreso ch’io non capissi.”

(A. Čechov, Lettera Michaìl O. Mènšikov, 16 aprile 1897)

 

Zero in religione ad almeno tre dei nostri quattro dottori!, ché solo Bulgakov ripone le speranze “in Dio” (Diario, 26 ottobre 1923). - Con Čechov la faccenda veniva poi risolta con un understatement impagabile, civilissimo e senza mai uno sbalzo di tono, quasi parlasse del tempo, e magari proprio per questo più micidiale di tutti i sarcasmi e le bestemmie possibili, le quali - come si sa – son linguaggio da profeti: “Un ragionamento imparziale mi dice che c’è più amore per l’umanità nella forza elettrica e nel vapore, che nella castità e nell’astenersi dal mangiar carne” (A. Čechov, Lettera a Aleksèj S. Suvòrin, 27 marzo 1894).

Tutto allora può stare in uno scambio di battute più atone che in Beckett: “- Pòlja, credete in Dio? - Perché, se no?” (Racconto di un uomo in incognito). Fine. 

Nessuno slancio metafisico, perché è proprio la metafisica che non esiste; il che, per un essere malatissimo di metafisica quale l’uomo è, si può capire bene che guai possa combinare e quanti inutili dolori – nevrosi! - possa procurare.

 

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Il dottor Céline scrive le stesse cose (“L’anima, per noi, era una tremarella…”: Morte a credito), anche se non solo da discolo ridanciano, ma col gusto sadico e irridente d’infilare un dito salato nella piaga prestigiosa del deus absconditus: “Per me sempliciotto, Dio è un trucco per meglio pensare a se stesso e per non pensare agli uomini, per disertare insomma magnificamente” (14 gennaio 1933, in Text et Documents 2, p. 30). – Più in ghingheri, sull’impossibilità di Dio mette tutto in quella micidiale domanda retorica che c’è nell’Omaggio a Zola, sempre del 1933: “Abbiamo ancora il diritto, senza ridicolaggini, di far figurare nei nostri scritti una Provvidenza qualsiasi?…” – Se hai letto il Voyage, lo sai.

 

Dall’altra parte del Reno, senza ridere e con idee tutt’altro che marxiste, il dottor Benn aveva  messo in versi proprio la frasaccia di Marx su Dio e l’oppio dei popoli: Dio è una sostanza, una droga!” (G. BENN, Poesie Statiche), idea che nel suo caso ha avuto tutto l’agio e le occasioni di radicarsi e ramificarsi come meglio non si può. Al punto da arrivare proprio alle più estreme delle convinzioni di Čechov, che però non filosofeggiava: “Soltanto oggi, di fronte a tanta insensatezza e tanto strazio, sorge il presentimento che la vita non debba attingere alcuna conoscenza, che l’uomo, o comunque la razza superiore, non abbia alcun dovere di dannarsi per spiegare la materia e i suoi contenuti” (G. BENN, Romanzo del fenotipo)

 

E, anche se può scappargli di fare il sarcastico (“Questo Grande Essere - in ogni caso avrebbe dovuto provvedere a chiarire meglio la sua posizione prima di avanzare richieste precise.”: Pietra, verso, flauto), il cuore della questione è ben più abissale: “Già il credere mi pone al di fuori di Dio, vale a dire dell’universo, e afferma che io in genere sarei qualcosa. Ma io non sono proprio niente, solo che attraverso di me scorre qualcosa la cui provenienza e il cui senso mi sono sempre apparsi velati e ogni giorno più velati.” (G. BENN; Cervelli).

 

Ora, poiché proprio la letteratura è smalto sul nulla, “Dio è un cattivo principio stilistico” (ib.): dove stile indica la capacità suprema dell’uomo di ricavare forma all’informe, e – se si preferisce – senso dal caos del cosmo.

 


 

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