La
vita - questa sputacchiera dove sputavano tutti, le vacche e i vermi e le
puttane -, la vita che tutti si sbafano fino all’ultimo brandello, la
sua scemenza finale, la sua più infima costituzione fisiologica come
digestione, sperma, atti riflessi - e adesso tutto ciò ammannito con
tanto di fini eterni -, ma il mio cliente aveva ragione, qui risiedeva in
effetti il cardine della concezione in auge presso questa razza, e
universalmente accolta, riguardo il fondamento dell’essere, quella
concezione che, in termini filosofici, aveva delegato alle scienze
empiriche la decisione sulla realtà e indotto la tragedia psicofisica, e
che ora rappresentava l’ostacolo definitivo alla nascita di una nuova
coscienza della civiltà la quale, dopo tutto questo sfacelo, intendesse
tener conto di una conciliazione delle sfere situate oltre la vita.
La
vita - eccoci giunti al concetto fondamentale davanti al quale tutto si
arrestava, l’abisso in cui, negletto ogni valore, tutti si buttavano
alla cieca, si ritrovavano insieme agli altri e tacevano commossi. Ma
presumere che il Creatore si fosse specializzato nel settore della vita,
che la privilegiasse, la sostenesse, e che qui si dilettasse in qualcosa
di diverso dai suoi abituali trastulli, ciò mi pareva assurdo.
(G.
BENN, Romanzo del fenotipo)
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La
morte miete gli uomini un po’ alla volta. E’ una che sa il
fatto suo. Scrivete una commedia: un vecchio inventa l’elisir di lunga
vita: chi ne prende quindici gocce, non muore più; però il chimico rompe
la fialetta dell’elisir per timore che le carogne come lui stesso e sua
moglie, vivano eternamente, Tolstoj nega l’immortalità all’uomo, ma
Dio mio, quanto di personale vi è in tutto ciò! Ieri l’altro ho letto
il sou Epilogo (della Sonata
a Kreutzer). Ammazzatemi pure, ma è più stupido e asfissiante delle Lettere alla governatrice (n.d.r.: di N. Gogol), che io disprezzo.
Il diavolo si porti la filosofia dei grandi della terra! Tutti i grandi
pensatori sono dispotici come generali, e come i generali villani e
indelicati, perché sono sicuri della loro impunità. Diogene sputava in
faccia alla gente, sapendo che non gliene sarebbe venuto alcun danno;
Tolstoj dà del farabutto ai medici e si comporta da cafone verso i grandi
problemi perché anche lui è un Diogene, che non rischia d’esser
condotto al commissariato né insultato sui giornali.
(Lettera
di A. Čechov a Aleksèj S.
Suvòrin, 8 settembre 1891)