"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9, dicembre 2004                                           


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 


 

 

2. Thomas Mann 

 

 

 


 

“E non aveva mai notato che lo scoppio di una malattia 

ha un che di festoso, è una specie di divertimento del fisico?”

(T. MANN, La montagna incantata)

 

“Oh, l'amour, tu sais… Le corps, l'amour, la mort, 

ces trois ne font qu'un. Car le corps, c'est la maladie 

et la volupté, et c'est lui qui fait la mort, oui, ils sont 

charnels tous deux, l'amour et la mort, et voilà leur. 

terreur et leur grande magie!” (Ibid.)

 

I pensieri che leggi in esergo li puoi facilmente riconoscere come ossessivi di tutta l’opera di Thomas Mann, che fu scrittore longevo e indiscutibilmente sano: li ritrovi negli schopenhaueriani racconti giovanili come nell’ultimo, L’inganno, dove per una specie di sarcasmo di natura una donna scambia un tumore per un ritorno in lei delle mestruazioni. 

Qui però ci concentreremo sul mastodonte della Montagna Incantata, vero e compiutissimo Baedeker su cosa possa voler mai dire essere malati. 

Nel romanzone, il Bios non cede presto o tardi al morbo inevitabile per entropia d’un equilibrio perfetto e delicato, ma per una nuova euforia del corpo fino allora compresso nella camicia di Nesso di una salute di per sé asfittica e banale!

Con la malattia si accede a verità di sé altrimenti latenti e tradite, pulsanti ma neglette: è la malattia come “accentuazione di voluttà” e “forma dissoluta della vita”; è il caos festante del dionisiaco, dell’eros liberato, di una libertina sfaccendatezza mentale!

La sua catastrofe è il canto (wagneriano? ironico?... entrambi?) della vita a se stessa, rivelata nella sua stupefacente sorgiva immoralità.

Dice il dottor Behrens: “E’ colpa mia se la tisi è congiunta a una speciale concupiscenza?...”; e addirittura Hans Castorp all’amata Madame Chauchat: “La malattia ti dà la libertà. Essa ti rende… ecco, ora mi sovviene la parola che non ho mai usata! Ti rende geniale”...

Questa mortifera euforia dell’essere, questo dover morire per essere!, attraversa da sempre la vita come la sua voce segreta e la sua vocazione essenziale,  ed è una sirena a cui - qui i medici ne sono convinti fino a compiacimenti grotteschi - nessuno può resistere: “E’ evidente una magnifica predestinazione al catarro delle vie respiratorie”; e poi: “Lei è un vecchio paziente, Castorp, ma non vogliamo incolpare nessuno per il fatto che ella lo ignori”.

L’altro medico, il dott. Krokowski, porta le cose alle sue conclusioni inevitabili: se infatti è destino di tutti l’ammalarsi, lo stato di salute non è che un preambolo, se troppo lungo, perfino ozioso: è un sonno della carne, che vela ben altra verità: “intendevo parlare (...) in tesi generale, filosofica, esprimendo il mio dubbio sul fatto che in generale si possano appaiare le due parole di «individuo» e di « salute »...”.

°*°

P.S.: Andrebbe presa allora in considerazione la Soluzione Finale, e sempre come tutti sappiamo impellente, allucinata per un soprassalto di schizofenica profeticità, dallo Zeno di Svevo: grazie all’abolizione cruenta della vita da parte dell’uomo stesso (come scrisse anche Caproni: è lui la malattia!): niente più vita, e dunque niente più malattie.


 

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