“E non aveva
mai notato che lo scoppio di una malattia
ha un che di
festoso, è una specie di divertimento del fisico?”
(T. MANN, La montagna incantata)
“Oh, l'amour,
tu sais… Le corps, l'amour, la mort,
ces trois ne
font qu'un. Car le corps, c'est la maladie
et la volupté,
et c'est lui qui fait la mort, oui, ils sont
charnels tous deux, l'amour et la mort, et voilà leur.”
terreur et leur
grande magie!” (Ibid.)
I
pensieri che leggi in esergo li puoi facilmente riconoscere come
ossessivi di tutta l’opera di Thomas Mann, che fu scrittore
longevo e indiscutibilmente sano: li ritrovi negli
schopenhaueriani racconti giovanili come nell’ultimo, L’inganno,
dove per una specie di sarcasmo di natura una donna scambia un
tumore per un ritorno in lei delle mestruazioni.
Qui
però ci concentreremo sul mastodonte della Montagna
Incantata, vero e compiutissimo Baedeker su cosa possa voler mai
dire essere malati.
Nel
romanzone, il Bios non cede presto o tardi al morbo inevitabile per entropia
d’un equilibrio perfetto e delicato, ma per una nuova euforia
del corpo fino allora compresso nella camicia di Nesso di una
salute di per sé asfittica e banale!
Con
la malattia si accede a verità di sé altrimenti latenti e
tradite, pulsanti ma neglette: è la malattia come
“accentuazione di voluttà” e “forma dissoluta della
vita”; è il caos festante del dionisiaco, dell’eros liberato,
di una libertina sfaccendatezza mentale!
La
sua catastrofe è il canto (wagneriano? ironico?... entrambi?)
della vita a se stessa, rivelata nella sua stupefacente sorgiva
immoralità.
Dice
il dottor Behrens: “E’ colpa mia se la tisi è congiunta a una
speciale concupiscenza?...”; e addirittura Hans Castorp
all’amata Madame Chauchat: “La malattia ti dà la libertà.
Essa ti rende… ecco, ora mi sovviene la parola che non ho mai
usata! Ti rende geniale”...
Questa
mortifera euforia dell’essere, questo dover morire per
essere!, attraversa da sempre la vita come la sua voce
segreta e la sua vocazione essenziale,
ed è una sirena a cui - qui i medici ne sono convinti fino
a compiacimenti grotteschi - nessuno può resistere: “E’
evidente una magnifica predestinazione al catarro delle vie
respiratorie”; e poi: “Lei è un vecchio paziente, Castorp, ma
non vogliamo incolpare nessuno per il fatto che ella lo ignori”.
L’altro
medico, il dott. Krokowski, porta le cose alle sue conclusioni
inevitabili: se infatti è destino di tutti l’ammalarsi, lo stato di salute non è che un
preambolo, se troppo lungo, perfino ozioso: è un sonno della
carne, che vela ben altra verità: “intendevo parlare (...) in
tesi generale, filosofica, esprimendo il mio dubbio sul fatto che
in generale si possano appaiare le due parole di «individuo» e
di « salute »...”.
°*°
P.S.:
Andrebbe presa allora in considerazione la Soluzione Finale, e
sempre come tutti sappiamo impellente, allucinata per un
soprassalto di schizofenica profeticità, dallo Zeno
di Svevo: grazie
all’abolizione cruenta della vita da parte dell’uomo stesso
(come scrisse anche Caproni:
è lui la malattia!): niente più vita, e dunque niente più
malattie.