“…e
se tu arai l’amore di tal cosa, tu sarai
forse
impedito dallo stomaco”
(Fogli
di anatomia posteriori al 1500)
“…non
è cos di che io mi
maravigli
più che vedere uno uomo vecchio..”
(F.
GUICCIARDINI, Ricordi, n. 161)
La
stupefazione sempre più sapiente per gli intrichi mirabili dei
muscoli, dei visceri, dei nervi, che trovi identici nella carcassa
del genio e in quella dell’idiota, precipita l’Anatomista in un
gorgo di misantropie inconfutabili: quale occasione sprecata,
infatti, un corpo, “stromento” mirabile, ma quasi sempre sotto
signoria di “omini grossi e tristi” (Fogli
di anatomia e di ottica del 1489-90)!
Tanto
millenario ingegnarsi di Natura, perché poi la vita non sia
“altro che transito di cibo” per gli “aumentatori di sterco e
riempitori di destri [cessi]… perchè per loro altro nel mondo non
appare, alcuna virtù in opera si mette, perchè di loro altro che
pieni e destri non resta” (Favole e
facezie)!
Gottfried
Benn, medico
“di bronzo” a legger queste frasi non batterebbe ciglio, e
riconoscerebbe che il cervello, quale sede di spirito e sagacia, è
un organo giovane; e che la trasformazione, che pur gli compete,
della materia in spirito è l’operazione più innaturale che si
possa pensare… E certo anche il dottor Destouches, alias Céline,
sebbene più sarcastico e umorale, avrebbe sottoscritto.
Leonardo
si pone su un confine che ogni sezionatore ha conosciuto: superato
lo shock inevitabile per la visione del corpo morto e sezionato, e
dunque non più “impedito dallo stomaco” né “dalla paura
coll’abitare nelli tempi notturni in compagnia di tali morti,
squartati e scorticati e spaventevoli a vederli” (Fogli
di anatomia posteriori al 1500), vede nel corpo le
sue macchine perfette.
Il
prezzo sarà l’impossibilità di ricomporre da allora la realtà,
se non in un immedicabile swiftiano sguardo di Gulliver:
cos’è ormai un uomo
vivo? Cosa più del cadavere di un idiota per ora ancora palpitante?
A
parte questi disastri metafisici, anche ricadute più
immediate.
Agli
occhi dell’Anatomista, infatti, la complessità mirabile del corpo
rende definitivamente risibili le verbose e abborracciate sapienze
dei medici (i “fisici”), impestatori di pazienti della stessa
“spezie d’Archimia”: diagnosi analoga nel Ricordo
n. 161 di Guicciardini,
a sua volta stupefatto dalla labirintica efficienza del corpo, e
dunque del suo potersi non disfare fino
alla sempre stupefacente vecchiaia… da qui, per entrambi vale lo
stesso consiglio che leggeremo un secolo e mezzo dopo in Molière:
se sventura vuole che si cada preda d’un morbo, non aggiungere a
questo la Malattia dei medici, che “medicano
al buio e a caso” (F. Guicciardini, Ricordo n. 206)
!…
°*°
Questo
viaggio al fondo della notte del corpo, cominciò per Leonardo a
Milano, tra il 1489 e il 1490, quando lo scopo era una conoscenza
suprema della forma umana per meglio poterla dipingere. Intorno al
1503, a Firenze, il ritorno sui cadaveri mostra un’intenzione ben
diversa: enciclopedica, scientifica e indistinta: il piacere dell
conoscenza in sé del corpo sezionato, facendo n ogni caso
“utilissima cosa alli curatori delle ferite” (Fogli
di anatomia posteriori al 1500). Qui il disegno non
è più il fine ma lo strumento più potente di cui la conoscenza
possa disporre. La stessa idea ritrovi nell’ultimo gruppo di
manoscritti, posteriori al 1510.
E
infatti, leggi accanto a un disegno accuratissimo del cuore: “O
scrittore, con quali lettere scriverrai tu con tale perfezione la
intera figurazione, qual fa qui il disegno?” (ibid.).
Le
parole sono buone infatti per concetti da orecchie, “cose di su
stanzie o di nature”, ma non per “cose appartenenti alli
occhi” (ibid.), che
sono appunto tridimensionali e sfumatissime apparenze.
Da
qui si può capire anche che il pubblico immaginario a cui scriveva
il sarcastico “omo sanza lettere” nella sua notturna solitudine
scrivente, era fatto di scrittori. E che la polemica è espressa da
una lingua meravigliosa.