“Hai
avuto tempi meravigliosi, per un certo tempo:
ed
è il meglio che tu
possa dire della vita.
Nessuno s’aspetti d’essere felice per tutta la vita.
E’
un desiderio infantile: non dura.”
(Epigramma epicureo
citazione di D.
Lessing su Zeitgeist a
proposito di Le nonne)
In
un film francese del 2001 Rue du
retrait, l’incontro tra l’infeltrita Mado e la
quarantacinquenne stillinblossom Isabelle avviene in una farmacia. Già lì,
in odor apotecario di scatole
velenose e iniezioni salvavita,
si diagnostica la storia d’affetti cronici tra le due donne
nella trasfusione di
sentimenti e trapianto
di gesti di cura. A
cielo aperto, esploriamo
i tessuti irrorati da slanci
trattenuti e dal realismo
fin impudico di
The
diary of Jane Somers
e The
Diary of a Good neighbour di
Doris Lessing.
Ho
ascoltato recentemente
un’ intervista rilasciata
da questa scrittrice ottantacinquenne, lucidissima e
vigorosa, nata in Persia
(nome sempre così bello: “…Ricordo l’odore della sabbia al
sole… E poi ricordo il viaggio per venire via: il battello sul
Caspio, il treno in Russia...”),
vissuta in Rhodesia e poi in Inghilterra. La scrittrice dice
parole che assomigliano al suo
volto: seducente e intraprendente alla maniera di Isabelle, timido
aggressivoscontroso come
Mado.
“…
In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi
la veste da solo, e andavi dove volevi;
ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti
cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (GV.21,18).
In
Il
diario di Jane Somers,
pubblicato nel 1983 sotto falso nome come sfida all’enclave
editoriale britannica, pagine
di acidità perforante auscultano i respiri della terza età:
Maudie (la Mado del film francese) è vecchia, sola e
ribelle: corpo prosciugato e implume in balia della morte cui si
concederà solo dopo pozioni tremende. E Janna, Isabelle nel film, a
seguito di questo strano incontro squagliacuore, le sutura qualche
ferita divenendo amicaparente.
Nonostante
certo orrore e schifo dell’inizio, Janna non l’ abbandona più:
accompagna Maudie nelle dimesse miserie domestiche, negli spogli tè
pomeridiani, nelle veglie finali, lunghe come corridoi ospedalieri
impregnati d’odor doloroso. Le due donne cauterizzano così
piaghe slabbrate in pagine calpestate come corsie dai bianchi letti.
In sottofondo, il rumore dei carrelli che svegliano affetti
disperati e mortiferi
bubboni metastatizzati come le domande a cui noi tutti siamo
sospesi.
Ci
sono anche personaggi generosi e allevianti come Bridget. la
favolosa “aiuto domestico”, o le infermiere all’ospedale che
Janna impara a distinguere dal passo e dalla gentilezza nei giorni
dell’agonia di Maudie. Sono queste infermiere a custodire il
malato, a vegliare sui loro sentimenti: sanno che siamo corpo,
non organismo solo. Il “grande
dottore”, in camice
bianco con codazzo di giovani medici, ha smarrito, in questo libro,
il giuramento di
Ippocrate : per lui Maudie
è solo una vecchia col cancro da visitare con fredda mano.
L’unica palpazione che emana tepore viene da un medico “di
colore”, un assistente
indiano che farà ricredere Maudie nei pregiudizi razziali.