di
Massimo
Bonifazio
Lenz in
cammino sui Vosgi, con le sue angosce, il suo disordine interiore,
le sue frustrazioni da redentore mancato e insieme il suo ateismo;
Woyzeck preso in mezzo fra
superiori che lo accusano di immoralità – “La morale,
Woyzeck, è quando si è morali…”, dottori (eccoli…) che gli
impongono una dieta di soli piselli, tamburmaggiori che gli
fregano la fidanzata: e con le sue ossessioni, dai massoni in
avanti, col suo assassinio “perfetto come ce lo si può solo
desiderare”, come dice il giudice alla fine: “Era da tanto che
non ne avevamo uno simile!”.
Psicopatologie proiettate su personaggi
letterari, casi clinici ben attestati da documenti – lo
scrittore Jakob Michael Reinhold Lenz, il soldato-barbiere Johann
Christian Woyzeck – che Georg Büchner ripropone con un diverso
indirizzo, una diversa intenzione: far emergere la sofferenza
senza dare giudizi, neppure di carattere medico. E siamo negli
anni trenta dell’800!
“Lenz camminava indifferente, senza
curarsi dove la via lo portasse, ora in salita, ora in discesa.
Stanchezza non ne provava, solo talvolta gli dispiaceva di non
potersi mettere a camminare con la testa.” - Solo l'antipatico
dottore di Woyzeck gli assegna con sicumera una aberratio
mentalis partialis – giusto per ribadire che la
diversità va lasciata al margine, rinchiusa, eventualmente
decapitata, che il mondo è dei sani – o meglio: dei ricchi e
dei potenti. (Al solito: un cretino povero è un cretino, un
cretino ricco è un ricco).
La domanda circa ciò che è sano Büchner
se la pone quando si chiede “cos’è che in noi puttaneggia,
mente, uccide, ruba?”, come a dire: chi può scandagliare il
proprio animo fino in fondo? Del resto la follia per lui non è
neppure uno stato di grazia, per carità: la sua appare piuttosto
l’intuizione che, di lì in poi, tutti saremmo stati
attanagliati da “un’angoscia indicibile”, avremmo sentito
che l’universo è “coperto di ferite”: saremmo allegramente
entrati, insomma, nell’inferno della modernità.
È un amor revolucionario quello con
cui Büchner si china sui suoi personaggi, amore per le vittime
dell'ingiustizia, com-passione per coloro che soffrono: fino a
identificarsi con loro, combattendo perché la malattia – e l’ingiustizia è ben una
forma di malattia – venisse lenita. Un medico ha forse altri
doveri?
(Anche se poi, curiosamente, non voleva che
i contadini della sua Assia avessero tutti un pollo in pentola,
altrimenti chi avrebbe fatto la rivoluzione? “Ogni creatura
umana è un abisso, vengono le vertigini a guardarci dentro”,
dice Woyzeck…).