Céline
“Allora, lei
sarebbe un cronista?
Né più né
meno!...”
(F. CÉLINE, Nord)
Ci
si vendicherà di più della realtà bolsa e assassina smascherandone i
trucchi e dicendola per quello che è, o saltandosene via a piè pari,
in aree almeno psichiche dell’essere, ben più interessanti di tutti i
papà Goriot e le cugine Betta della terra? - Attenzione, però, perché
“non usciremmo di prigione, se raccontassimo la vita come la
conosciamo, a cominciare dalla nostra” (Hommage à Zola - 4 ottobre 1933; ora in: Céline e l’attualità letteraria).
A
volerla dire, allora, la travolgente atrocità delle cose richiederà
scrittori titanici (“Già Zola aveva bisogno di un certo
eroismo...”: Ib.) , dalla forza e dalla lucidità
abnormi, confrontabili solo con quanto di meglio ha saputo fare
quell’altra grande nemica del sogno che è la scienza:
l’opera di Zola
somiglia, per certi versi, all’opera di Pasteur, così solida, così
viva ancora, in due o tre punti essenziali. In questi due uomini noi
ritroviamo, trasposti, la medesima tecnica meticolosa di creazione, la
stessa cura di probità sperimentale e soprattutto lo stesso fantastico
potere di dimostrazione” (Ib.).
Detto
così, Zola è un buon papà per il giovane dottore che ha appena
raccontato la guerra - un orrore
conradiano moltiplicato per n
- e che nelle interviste riconosce per maestri non scrittori ma
medici (vedi
sempre le interviste raccolte in: Céline
e l’attualità letteraria).
A
proposito di dottori, anche se qui non lo cita, Céline aveva letto Freud.
Nell’Omaggio
a Zola si sente soprattutto Al
di là del principio di piacere (1920),
e quell’idea della “pulsione di morte” come forza interna e fatale
che poi “esplorerà copiosamente” (PH.
ALMÉRAS, Céline). - E infatti leggi: “L’unanime sadismo
attuale deriva innanzitutto da un desiderio del nulla profondamente
radicato nell’uomo e soprattutto nelle masse umane, una sorta di
impazienza amorosa, più o meno irresistibile, unanime, per la morte”; “Quando
osserviamo di quali rancidi pregiudizi, di quali putride frottole può
alimentarsi il fanatismo assoluto di milioni di individui che passano
per evoluti, istruiti nelle migliori scuole d’Europa, siamo
autorizzati certamente a chiederci se l’istinto di morte nell’uomo,
nelle sue società, non domini già definitivamente l’istinto di vita.
Tedeschi, francesi, cinesi, valacchi. Dittature o no. Solo pretesti per
giocare alla morte” (Hommage à Zola,
op.
cit.).
Raccontare
la realtà sarà allora immergersi in buchi neri - gli uomini! - di
forze non solo orribili ma anche deliranti, senza che a un qualche Bene
sia mai possibile ancorarsi: cosa tornerà da un viaggio al fondo di quella
notte?
E
allora addio anche a Zola che “credeva nella virtù; pensava di
provocare orrore nel colpevole, non di farlo disperare. Noi oggi
sappiamo che la vittima richiede sempre martirio, non ne ha mai
abbastanza. Abbiamo ancora il diritto, senza ridicolaggini, di far
figurare nei nostri scritti una Provvidenza qualsiasi? Bisognerebbe
avere una fede robusta. Tutto diventa più tragico e più irrimediabile
man mano che si penetra di più nel destino dell’uomo. Man mano che si
cessa di immaginarlo per viverlo così com’è realmente... lo si
scopre” (Ib.).