La
vita e i suoi fini eterni - aha! - adesso eravamo al dunque! Davanti
ai clienti ci si tiene per sé le opinioni personali, si concorda con
tizio e subito si dissente con caio, mi limitai pertanto a buttare lì
un borbottio di consenso, ma dentro di me ero così scombussolato che,
con la scusa di una commissione da sbrigare, uscii dall’istituto. La
vita - questa sputacchiera dove sputavano tutti, le vacche e i vermi e
le puttane -, la vita che tutti si sbafano fino all’ultimo
brandello, la sua scemenza finale, la sua più infima costituzione
fisiologica come digestione, sperma, atti riflessi - e adesso tutto ciò
ammannito con tanto di fini eterni -, ma il mio cliente aveva ragione,
qui risiedeva in effetti il cardine della concezione in auge presso
questa razza, e universalmente accolta, riguardo il fondamento
dell’essere, quella concezione che, in termini filosofici, aveva
delegato alle scienze empiriche la decisione sulla realtà e indotto
la tragedia psicofisica, e che ora rappresentava l’ostacolo
definitivo alla nascita di una nuova coscienza della civiltà la
quale, dopo tutto questo sfacelo, intendesse tener conto di una
conciliazione delle sfere situate oltre la vita.
(G.
BENN, Romanzo del fenotipo).