"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 9 dicembre 2004

 


Cechov, Céline, Bulgakof, Benn: I medicamenta del dottor Scrittura

 

14. Baroni

 

 

 

 


 

Céline

 

 

“Io non ho praticato sempre la medicina, questa merda” 

(F. CÉLINE, Morte a credito)

 

 “Io servo una causa dannosa e ricevo lo stipendio da persone che imbroglio; non sono onesto. Ma in me stesso non sono niente: sono solo una piccola parte di un male sociale necessario...” 

(A. ČECHOV, Corsia n. 6)

 

Come i preti dei Promessi sposi, mica tutti uguali i medici: “Mi piacerebbe, per esempio, scrivere un libro su quegli onnipotenti signori che sono i grandi medici - mica i poveri piccoli proletari di quartiere - ma quelli che al riparo dei bei muri lustri delle loro cliniche, dispongono della vita dei pazienti, come il destino presso gli Antichi. La so lunga a proposito - ventisette anni di pratica medica alle spalle mica conta poco - un bel grido da lanciare che ho qui, in gola.” (F. CÉLINE,  Intervista a cura di André Parinaud, 1953).

Di medici di mondo più che di medicina, in Céline ce ne sono stati da subito: gli altri medici, tanto per cominciare, sono quelli che fanno fuori Semmelweis. - E poi, subito nella prima opera da letterato - L’Eglise - ci sono i medici che boicottano  (storia, per noi, davvero molto manzoniana!) un giovane dottore - il nome è già Bardamu - che cerca di far conoscere per tempo un’epidemia misteriosa che devasta Bragamance, colonia francese in Africa. 

 

Nel Viaggio, all’ospedale di guerra, c’è, occhi belli e molto ricco, il professor Bestombes: “aveva fatto installare, per ridarci del fegato, tutto un complicato sistema di strumenti elettrici scintillanti, di cui noi subivamo le scariche periodiche, effluvi che si pretendeva tonici e che bisognava accettare sotto minaccia d’espulsione. Era molto ricco, pareva, quel Bestombes, e bisognava esserlo per comprare tutto quel costoso bazar elettrico. Suo suocero, pezzo grosso nella politica, che aveva potentemente trafficato nel corso di acquisti governativi, gli permetteva quei lussi” (F. CÉLINE, Viaggio al fondo della notte).

 

Poi c’è, chiamato a consulto da Bardamu per il tifo del piccolo Bébert, il dottor Parapine, desolante e deludentissimo, perché “il delirio scientifico, più ragionato e più freddo degli altri, è nello stesso tempo il meno tollerabile di tutti” (Ib.). 

In Morte a credito, svetta il dottor Sabayot che, “senza volergli far nessun torto, non si strappava certo i capelli per le sue diagnosi. S’orientava sulle nuvole”. Ma con molto successo sociale e ammirazione adorante da parte della clientela.

 

Indimenticabile in Bagatelle per un massacro il “collega d’alto bordo” dottor Gutman “con una clientela come pochi... che relazioni!... frequentatore di tutto il Gran Parigi... astuto, galante, ottimista, insinuante, sapiente, fine come l’ambra, più al corrente di metriti, di sifilidi, di magnaccia per filo e per segno, di bismutizzati, di acidosici, di assassinii autenticamente mondani, di agonie truccate, di falsi seni, di ulcere sospette, di ghiandole inaudite, che non venti notai, cinque Lacassagne, diciotto commissari di polizia, quindici confessori. E oltretutto, già per conto suo, una faccia tosta come cento gendarmi, roba che non guasta affatto e facilita enormemente la comprensione delle cose”.

 

E, perfino di più, nell’ospedale per le malattie veneree di Leningrado, il medico che accompagna Céline per magnificargli quell’opera del regime (“Qui! collega, Tutto va Molto Bene!... Tutti i malati stanno Molto Bene! Noi, qui, stiamo tutti Molto Bene!...”: Ib.).

Questo dottor Tuttovabenevic, tutto agio continuava a  far da cicerone ilare  al dottor francese, mentre con le mani trafficava nelle fiche delle pazienti: “...in piena febbre faceva spremere un po’ le ghiandole... sempre berciando... scuoteva appena le dita... e plaf!... affondava nella prossima... neanche un secondo  perso!... così!... a mani nude!... pelose... gocciolanti di pus giallo... tutto senza guanti...” (Ib.).


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