Céline
“Io
non ho praticato sempre la medicina, questa merda”
(F.
CÉLINE, Morte a credito)
“Io
servo una causa dannosa e ricevo lo stipendio da persone che
imbroglio; non sono onesto. Ma in me stesso non sono niente: sono
solo una piccola parte di un male sociale necessario...”
(A. ČECHOV, Corsia
n. 6)
Come
i preti dei Promessi
sposi, mica tutti uguali i medici: “Mi piacerebbe,
per esempio, scrivere un libro su quegli onnipotenti signori che sono
i grandi medici - mica i poveri piccoli proletari di quartiere - ma
quelli che al riparo dei bei muri lustri delle loro cliniche,
dispongono della vita dei pazienti, come il destino presso gli
Antichi. La so lunga a proposito - ventisette anni di pratica medica
alle spalle mica conta poco - un bel grido da lanciare che ho qui, in
gola.” (F.
CÉLINE, Intervista
a cura di André Parinaud, 1953).
Di
medici di mondo più che di medicina, in Céline ce ne sono stati da
subito: gli altri medici,
tanto per cominciare, sono quelli che fanno fuori Semmelweis.
- E poi, subito nella prima opera da letterato - L’Eglise
- ci sono i medici che boicottano
(storia, per noi, davvero molto manzoniana!) un giovane dottore
- il nome è già Bardamu - che
cerca di far conoscere per tempo un’epidemia misteriosa che devasta Bragamance,
colonia francese in Africa.
Nel
Viaggio,
all’ospedale di guerra, c’è, occhi belli e molto ricco, il professor
Bestombes: “aveva fatto installare, per ridarci del
fegato, tutto un complicato sistema di strumenti elettrici
scintillanti, di cui noi subivamo le scariche periodiche, effluvi che
si pretendeva tonici e che bisognava accettare sotto minaccia
d’espulsione. Era molto ricco, pareva, quel Bestombes, e bisognava
esserlo per comprare tutto quel costoso bazar elettrico. Suo suocero,
pezzo grosso nella politica, che aveva potentemente trafficato nel
corso di acquisti governativi, gli permetteva quei lussi” (F. CÉLINE, Viaggio
al fondo della notte).
Poi
c’è, chiamato a consulto da Bardamu per il tifo del piccolo Bébert,
il dottor
Parapine, desolante e deludentissimo, perché “il
delirio scientifico, più ragionato e più freddo degli altri, è
nello stesso tempo il meno tollerabile di tutti” (Ib.).
In
Morte
a credito, svetta il dottor
Sabayot che, “senza volergli far nessun torto, non si
strappava certo i capelli per le sue diagnosi. S’orientava sulle
nuvole”. Ma con molto successo sociale e ammirazione adorante da
parte della clientela.
Indimenticabile
in Bagatelle
per un massacro il “collega d’alto bordo” dottor
Gutman “con una clientela come pochi... che relazioni!...
frequentatore di tutto il Gran Parigi... astuto, galante, ottimista,
insinuante, sapiente, fine come l’ambra, più al corrente di
metriti, di sifilidi, di magnaccia per filo e per segno, di
bismutizzati, di acidosici, di assassinii autenticamente mondani, di
agonie truccate, di falsi seni, di ulcere sospette, di ghiandole
inaudite, che non venti notai, cinque Lacassagne, diciotto commissari
di polizia, quindici confessori. E oltretutto, già per conto suo, una
faccia tosta come cento gendarmi, roba che non guasta affatto e
facilita enormemente la comprensione delle cose”.
E,
perfino di più, nell’ospedale per le malattie veneree di
Leningrado, il medico che accompagna Céline per magnificargli
quell’opera del regime (“Qui! collega, Tutto va Molto Bene!...
Tutti i malati stanno Molto Bene! Noi, qui, stiamo tutti Molto
Bene!...”: Ib.).
Questo
dottor
Tuttovabenevic, tutto agio continuava a far da
cicerone ilare al dottor francese, mentre con le mani trafficava
nelle fiche delle pazienti: “...in piena febbre faceva spremere un
po’ le ghiandole... sempre berciando... scuoteva appena le dita... e
plaf!... affondava nella prossima... neanche un secondo
perso!... così!... a mani nude!... pelose... gocciolanti di
pus giallo... tutto senza guanti...” (Ib.).